Se solo i conservatori fanno le rivoluzioniil commento 2

A come apertura. Papa Francesco, sento dire, non è sicuramente un conservatore, Papa Francesco è «aperto». È umile come l'altro Francesco: paga il conto dell'albergo, preferisce il pulmino alla limousine, invita i suoi compatrioti a non venire a Roma e a devolvere i soldi del viaggio per i poveri. Queste sono tutte cose progressiste. Anche il programma del suo pontificato, già bene espresso nel saluto alla folla di S. Pietro (l'impressione è che l'elezione al soglio di Pietro non gli sia giunta del tutto inattesa), sembrerebbe essere segnato dalla novità, dalla rottura con il passato. Dal saluto confidenziale («buonasera») al rifiuto della parola «Papa» e di locuzioni quali «Vicario di Cristo» o «Capo della Chiesa» a favore versioni più il linea con uno stile collegiale, come «Vescovo di Roma». Poco conservatrice sarebbe anche la sua idea di guida, che l'episcopato romano esprime da sempre nei confronti di tutta la Chiesa. Francesco parla infatti della Chiesa di Roma come di «quella che presiede nella carità tutte le Chiese». Non un impero, non una monarchia, ma una guida servizievole, mossa dalla carità. Ma noi siamo sicuri di sapere che cos'è, nella Chiesa, conservatore e che cos'è progressista? Finché ci fermiamo a quello che crediamo di sapere, la strada che ci resta è quella della confusione. Pensiamo che l'umiltà sia progressista e che la conservazione sia arrogante: ora, Francesco non è certo arrogante, perciò non è conservatore. Quando, però, alla prima omelia da pontefice si esprime con parole così dure sulla mondanità, dichiarando che una Chiesa che non professa Cristo è solo una Ong benefica, o quando cita la frase di Léon Bloy (scrittore tutt'altro che progressista) «chi non prega il Signore, prega il diavolo», o quando ricorda che quando confessiamo un Cristo senza croce «siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore», ecco spuntare il suo volto conservatore. Le idee si confondono un po'. Viene da chiedersi allora cosa intendiamo innanzitutto noi per «papa conservatore" e «Papa progressista». Se è sufficiente definire conservatore chi difende la ritualità e l'apparato, chi rifiuta di fare chiarezza sulle proprie magagne interne, chi presenta la Chiesa come infallibile, chi difende la messa in latino e così via; e se è sufficiente definire progressista chi si mostra pauperista, chi paga il conto dell'albergo, chi sceglie insomma il basso profilo (nella speranza, magari, che un giorno si pronunci a favore del sacerdozio femminile o dei matrimoni gay). Se è solo così, andremo sempre in confusione. Come ci ha mandato in confusione Giovanni XXIII oppure Benedetto XVI, che erano stato considerati papi della conservazione e poi hanno compiuto gesti rivoluzionari, spingendo la Chiesa verso un Nuovo Inizio. Il punto su cui dobbiamo registrarci meglio, secondo me, è il punto della fede. Siamo sicuri di sapere che cos'è la fede? Ciò che la Chiesa deve conservare e incrementare è la fede, che non è opera umana ma dono dello Spirito Santo, ed è attestato dall'immenso «patrimonium fidei» della Chiesa (che comprende le imprevedibili vite dei Santi nonché alcune tra le vette dell'ingegno umano, da Agostino a Dante) ma non coincide con esso, perché la fede che Cristo suscita nel mondo è pura novità, e l'esempio del passato ci è utile solo se sappiamo cogliere il «qui e ora» che il passato testimonia con sconcertante vivezza.

La Chiesa è conservatrice della fede, ossia di Cristo contemporaneo (non reliquia del passato) e di tutto ciò che la fede viva ha prodotto nella storia, come la sua Liturgia, il suo Catechismo e le sue preghiere. Se sarà veramente conservatrice, sarà anche e sempre rivoluzionaria.

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