Roma - Numeri: un italiano su mille è in galera, un detenuto su cinque è in attesa di giudizio, un prigioniero su tre è straniero. E a Napoli, all'«hotel Poggioreale», vivono in dieci in una cella. Sono i numeri che hanno provocato una condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo, i numeri che hanno spinto Giorgio Napolitano al suo primo messaggio alle Camere. «L'Italia è umiliata», sostiene, bisogna intervenire presto, immediatamente, con un'amnistia o un indulto, meglio tutti e due insieme, in attesa di una riforma della giustizia. E subito si pensa al Cav: rientrerà anche lui nei provvedimenti di clemenza che governo e Parlamento sono già pronti a definire? I grillini gridano allo scandalo. «La Napolitanocrazia vuole salvare il caimano», twittano, e il capo dello Stato da Cracovia risponde con durezza: «Quelli che dicono così e accostano le due cose hanno un pensiero fisso e se ne fregano dei problemi della gente». Ce n'è anche per la freddezza Pd: «Solo i ciechi non si accorgono che dopo la fiducia il clima si è svelenito».
Dunque il presidente non pensa a Berlusconi, non sta gonfiando una ciambella quando parla di «rimedi straordinari», ma denuncia una situazione «insostenibile e vergognosa», non degna di un Paese civile. Lui, assicurano dal Quirinale, fa un discorso generale e chiede di mettere riparo a una situazione «scandalosa». E non si limita a un generico allarme, Napolitano indica la soluzione. Tra le strade per «risolvere la questione del sovraffollamento» delle carceri c'è «una incisiva depenalizzazione dei reati, per i quali la previsione di una sanzione diversa da quella penale può avere una efficacia di prevenzione generale non minore». Ma soprattutto ci vorrebbero sia l'indulto che l'amnistia. «L'effetto combinato dei due provvedimenti, un indulto per pene di 3 anni, e un'amnistia su reati di non grave entità, potrebbe ridurre significativamente la popolazione carceraria e consentire di adempiere tempestivamente alle prescrizioni della comunità europea».
Napolitano parla in generale ma il caso-B è sul tavolo, sotto lo sguardo di tutti. Salta agli occhi il momento scelto da Re Giorgio per intervenire sull'argomento con l'arma più potente a sua disposizione, il solenne messaggio alle Camere, dodici ruvide cartelle lette in contemporanea da Grasso e Boldrini. Come pure la sollecitudine di Palazzo Chigi. «Ineccepibile - dice Enrico Letta - faremo di tutto per recepire le indicazioni». Angelino Alfano è «pronto a tradurre in pratica» l'invito e i ministri Quagliariello e Cancellieri hanno già aperto un tavolo sulla riforma della giustizia.
«È una falsa idea che l'amnistia salvi Berlusconi», dice il Guardasigilli. Però non lo esclude nemmeno, almeno per come la mette Napolitano. «Per quanto riguarda l'ambito applicativo, non ritengo che il presidente debba indicare i limiti di pena massimi o le singole fattispecie escluse. La perimetrazione della legge di clemenza rientra infatti tra le esclusive competenze del Parlamento». Insomma, «ferma restando la necessità di evitare che si incida su reati di rilevante gravità e allarme sociale», saranno le Camere, se vorranno, a trovare una soluzione politica ai problemi del Cavaliere, a stabilire quali sono i «reati di particolare gravità».
Chissà, forse si è aperta una porta, se Pier Ferdinando Casini invita «a girare pagina», se Renato Brunetta dice «grazie al capo dello Stato», se Renato Schifani promette «impegno totale». Ma serve una maggioranza di due terzi. M5S si mette sulle barricate: «È Napolitano che se ne frega delle opposizioni», dice Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera. Roberto Maroni ripete che la Lega è contraria sia all'indulto che all'amnistia, e pure da Pd non arrivano segnali incoraggianti.
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