Dunque il procuratore generale della Cassazione è d’accordo con me, con noi che per sedici anni abbiamo detto che Marcello Dell’Utri, quali che siano state le sue amicizie palermitane, era vittima di un’imputazione «a cui non crede nessuno», insomma di un processo abusivo, assunto di «concorso esterno» indimostrabile, mancata puntualità della fattispecie di reato, pura demagogia politica, puro procedimento esemplare, dunque antigiuridico, sul quale si è tenuta in piedi una campagna di calunnia e di diffamazione di pentiti, giornalisti, mozzorecchi di tutte le fatte e le sembianze.
E ha aggiunto che in uno stato di diritto l’imputato deve essere condannato «al di là di ogni ragionevole dubbio», il contrario di quanto è accaduto per il vecchio amico e collaboratore di Silvio Berlusconi, per il senatore e politico maciullato dalla malagiustizia. E i calunniatori professionali ora fanno anche le verginelle, parlano di salvacondotto, brandiscono come un insulto ad personam la parola «prescrizione», insinuano altri dubbi diffamatori sui giudici che hanno convalidato le parole del procuratore generale annullando la condanna con rinvio a nuovo processo, evitano di fare l’unica cosa che dovrebbero fare: scusarsi con una persona devastata da una vicenda «incredibile», fare ammenda e vergognarsi della sicumera che li ha portati alla lunga stagione di bastonatura mediatica per scopi politici ora squadernata davanti agli occhi di tutti.
Intanto è sotto processo per un altro «incredibile» capo di reato il generale dei carabinieri Mario Mori, quello che ha arrestato Salvatore Riina sei mesi dopo aver cercato di estorcere confidenze e disponibilità alla resa al boss politico corleonese Vito Ciancimino. Con lui, per aver fatto il proprio dovere nel contrasto alla criminalità organizzata, sono finiti nel mirino un ex ministro dell’interno di Ciampi, un ex ministro della Giustizia di Ciampi, un gruppo scelto di altre personalità dello stato dei primi anni Novanta, e da ultimo, come se non fossero bastati processi «incredibili »durati tre lustri e finiti con l’assoluzione, anche il politico siciliano Calogero Mannino.
I carabinieri hanno fatto il loro sporco mestiere investigativo nella zona grigia del possibile, poi hanno preso i capi della mafia, e adesso devono difendersi dalle accuse di un pataccaro portato in palmo di mano, fino al suo obbligato arresto per falsificazione di documenti d’accusa, dal procuratore aggiunto di Palermo dottore Antonio Ingroia, che definì Massimo Ciancimino «un’icona dell’antimafia» e gli fece da sparring partner nel suo lungo tour televisivo (e il pg della Cassazione ha anche detto che l’anomalia del processo a Dell’Utri si registra perfino nella grancassa giornalistica, Santoro & C., suonata per anni con grande strepito e compunzione).
Escludono una congiura politica esterna di tipo stragista i magistrati nisseni che indagano sull’omicidio di Borsellino, e cercano di restituire l’onore a un sistema penale che aveva creduto alle deposizioni «incredibili » di un falso pentito, ma quello di loro che si distinse nella persecuzione in giudizio di Dell’Utri, Nico Gozzo, dice straparlando che la strage «coinvolge le basi di formazione della seconda Repubblica», e il procuratore antimafia gigioneggia al suo solito parlando di una ininterrotta catena di «strategia della tensione ». Niente repelle come il delitto di mafia, e la mafia stessa, ma viene da vomitare di fronte all’uso politico, propagandistico, ideologico della mafia nel quadro di una strategia politica di delegittimazione dello Stato e dell’avversario politico trattatocon faziosità e considerato un arcinemico.
Dell’Utri se lo sono mangiato vivo, ci provano con Mori, ma anche la giustizia, anche la democrazia sono state date in pasto alle fobie menzognere di bocche della legge che si credono giustizieri e storici della Repubblica, alle prospettive di carriera di personaggi minori, a un metodo d’ingiustizia fondato sulla promiscuità dell’accusa e del tribunale che giudica. Ho stima del ministro Paola Severino, ma con la stessa celerità, sicurezza, e decisione con cui si stanno risolvendo problemi come lo spread, le pensioni, il mercato del lavoro e le licenze dei negozi, è ora necessaria un’iniziativa seria per separare le carriere requirenti e giudicanti, per fare del Consiglio superiore della magistratura e dei suoi poteri disciplinari una cosa seria, per ripristinare i controlli e le necessarie centralizzazioni nella gestione anarcoide e assembleare delle Procure d’assalto.
Ho stima per il capo dello Stato, ma il garante supremo della magistratura e del cittadino non può più parlare in modo compassato e metodologico di fronte alla lesione evidente del nostro universale diritto a una
vera giustizia. Si attendono provvedimenti d’urgenza nella evidente emergenza, e un discorso alle Camere su giustizia e politica che mandi all’aria i processi «incredibili » e il loro uso fazioso ai danni della democrazia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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