La Spagna vuole abolire la legge pro-aborto

Indietro tutta. Su una delle leggi-simbolo dell'era Zapatero - il diritto all'aborto entro la quattordicesima settimana, anche per le sedicenni senza necessità di informare i genitori, o entro la ventiduesima in caso di «rischio per la vita e la salute della madre» o di «grave malformazione del feto» - la Spagna è pronta a una retromarcia storica quanto lo era stata la riforma voluta dall'ex premier socialista José Luis Zapatero.
Mentre il governo conservatore di Mariano Rajoy incassa gli ultimi risultati deprimenti su una recessione economica da incubo - ieri i dati sul Pil del secondo trimestre che si contrae ancora dello 0,4% - mentre l'esecutivo fatica dunque a riportare la Spagna sulla strada della ripresa nonostante le misure lacrime e sangue che hanno garantito al centrodestra ampia impopolarità e scontri di piazza, i Popolari tentano di giocare la carta delle «controriforme» sociali per marcare la differenza con il predecessore Zapatero, desaparecido dalla scena pubblica ma di fatto ancora parecchio presente con i provvedimenti lasciati in eredità anche su eutanasia e matrimoni omosessuali. Il premier Rajoy lo aveva promesso in campagna elettorale e lo farà alla ripresa dei lavori parlamentari: cambierà la legge sull'aborto varata nel 2010 dalla maggioranza socialista e definita «omicidio di Stato» e «licenza per uccidere» dalla Cee, la Conferenza episcopale spagnola, che alle elezioni dello scorso novembre ha chiesto espressamente ai fedeli di non votare per i partiti che difendono aborto, eutanasia e nozze gay. Nel mirino c'è soprattutto l'apertura alle interruzioni di gravidanza in caso di malformazioni. «Non capisco perché si debba privare un feto della vita, ammettendo l'aborto, per il semplice fatto che soffre di un handicap o di una malformazione», ha detto qualche giorno fa il ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardon. Ed è stata subito bagarre. «È il massimo del cinismo», commenta Santiago Barambio, presidente dell'associazione delle cliniche specializzate in interruzioni di gravidanza (Acai) e uno dei padri della legge entrata in vigore due anni fa. «Quel che vuole davvero Gallardon è vietare di fatto l'aborto sulla linea di Irlanda, Polonia o Malta», aggiunge Barambio. Che poi spiega cosa spingerebbe i Popolari a una mossa che i sondaggi dicono si rivelerebbe controproducente anche fra gli elettori di centrodestra (contrario all'inversione di rotta è il 65% di chi dichiara di aver votato per il partito di governo alle ultime elezioni e il 64% di chi si professa cattolico praticante). Il ministro «occupa il terreno dell'estrema destra ultracattolica - analizza Barambio - che è forse minoritaria ma molto potente economicamente, come l'Opus Dei», influente e e ben introdotto anche nei vertici politico-economici di Spagna. «La riforma porta la legislazione a un'epoca vicina alla dittatura franchista e allontana la Spagna dal resto dell'Europa in materia di diritti delle donne», ha scritto il collettivo di associazioni che ha portato domenica in piazza un centinaio di spagnoli per difendere la legge esistente sull'aborto.
La guerra delle piazze ha animato gli anni della Spagna zapateriana divisa tra pro-life e abortisti e ha prodotto una frattura insanabile tra i vertici della Chiesa cattolica e il governo socialista. Ora però lo scontro potrebbe farsi persino più duro.

Perché la «controriforma» annunciata dai Popolari porterebbe le lancette dell'orologio più indietro del 1985, anno in cui venne varata la legge che consentiva l'aborto solo in caso di stupro fino alla dodicesima settimana, di malformazione del feto fino alla ventiduesima o di pericolo per la salute fisica e psichica della madre, senza limiti di tempo (e quest'ultima opzione era quella invocata dal 98% delle donne che abortivano). Il rischio è che si riapra una nuova stagione di scontro sulle grandi questioni civili a Madrid e dintorni. Resta da capire se la grave crisi economica fiaccherà le proteste o alimenterà la rabbia.

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