Gli strani comunicati del Colle per insabbiare il complotto

Nei giorni che portarono alle dimissioni di Berlusconi dal governo nel 2011, fitti colloqui per Napolitano: parlò con Obama, Sarkozy e il tedesco Wulff

Gli strani comunicati del Colle per insabbiare il complotto

È un passaggio breve, tre righe, contenuto in un più ampio comunicato del Quirinale datato 9 novembre 2011. Si tratta di una dichiarazione ufficiale del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, nei giorni convulsi della crisi finanziaria e dell'Italia messa sempre più alle strette. Due anni e mezzo dopo vale la pena rileggere il punto nel quale il capo dello Stato precisava che «non esiste alcuna incertezza sulla scelta del presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, di rassegnare le dimissioni del governo da lui presieduto. Tale decisione diverrà operativa con l'approvazione in parlamento della legge di stabilità per il 2012». Alla luce di tutto quello che nel frattempo è successo, a cominciare dalle rivelazioni di Alan Friedman fino alle recentissime confessioni nel libro dell'ex segretario Usa al Tesoro Tim Geithner, che parla di un complotto per defenestrare l'ex premier, sorge una domanda. Perché il 9 novembre del 2011 Napolitano si sente in dovere di precisare che le dimissioni di Berlusconi sono spontanee? Il fatto è che l'interrogativo è alimentato da tutta una serie di comunicati del Colle di quel periodo.

L'8 novembre una nota del Quirinale spiega che l'allora premier, ricevuto da Napolitano con l'ex sottosegretario Gianni Letta, «ha manifestato al capo dello Stato la sua consapevolezza delle implicazioni del risultato del voto odierno alla Camera». Il riferimento è al voto che poco prima a Montecitorio ha permesso al Rendiconto generale dello Stato di essere approvato con soli 308 voti a favore, quando la maggioranza assoluta sarebbe stata di 316. Il tutto grazie all'astensione dell'opposizione e di altri parlamentari.

Se ne trae la conclusione, soprattutto da parte dell'opposizione, che l'allora premier non ha più la maggioranza e si deve dimettere, anche in assenza di un'espressa verifica parlamentare. Verifica che non c'è mai stata. Subito dopo, in quella stessa nota dell'8 novembre 2011, il Colle dice che «una volta compiuto tale adempimento», ovvero l'approvazione della Legge di stabilità, «il presidente del consiglio rimetterà il suo mandato al capo dello Stato, che procederà alle consultazioni di rito». Insomma, se già l'8 novembre per il Quirinale era chiara «la consapevolezza» di Berlusconi di non avere più la maggioranza dopo il voto sul Rendiconto generale dello Stato, pur non essendo mai stata sfiduciato dalle Camere, perché Napolitano 24 ore dopo si sente in dovere di dichiarare che «non esiste alcuna incertezza sulla scelta del presidente del Consiglio di rassegnare le dimissioni»? È presumibile che il Colle si sia sentito in dovere di provare a evitare un equivoco, finendo però con l'alimentarlo ulteriormente. Se le dimissioni di Berlusconi erano davvero spontanee, poteva bastare quanto comunicato l'8 novembre.

Ma c'è dell'altro. Risaliamo al 1° novembre del 2011. La posizione dell'Italia sui mercati finanziari si aggrava. Quel giorno arriva un'altra nota. Si spiega che il capo dello Stato «considera ormai improrogabile l'assunzione di decisioni efficaci nell'ambito della lettera di impegni indirizzata dal governo alle autorità europee». È appena il caso di ricordare che l'esecutivo italiano era stato sollecitato prima dalla famigerata lettera (i «compiti a casa») firmata il 5 agosto 2011 dall'allora presidente della Bce, Jean Claude Trichet, e dal futuro numero uno dell'Eurotower, Mario Draghi. Successivamente da Commissione e Consiglio europeo, con una richiesta alla quale erano seguite 39 risposte sulla politica economica di Roma. Anche per questo la nota del Colle aggiunge «che il presidente del Consiglio ha confermato il proprio intendimento di procedere in tal senso». Solo una settimana prima, quindi, il quadro è molto più roseo e non si presagisce nessun ribaltone. Chi ha convinto o costretto Berlusconi a dimettersi senza aver ricevuto la sfiducia di Camera e Senato? Il capo dello Stato era davvero convinto che le dimissioni del premier fossero dovute? Non ci sono risposte. Salvo, ancora una volta, un comunicato di pochi giorni fa del presidente della Repubblica dopo lo scoppio del caso Geithner. In esso si ribadisce che le dimissioni di Berlusconi sono state «liberamente e responsabilmente rassegnate il 12 novembre 2011 e già preannunciate l'8 novembre». Se erano così libere perché ci fu l'esigenza di ribadirle solo 24 ore dopo?

Ecco le successive comunicazioni del Quirinale, sempre in quel torrido novembre di tre anni fa. Il 10 novembre 2011 si dà conto di «un cordiale colloquio telefonico» con Barack Obama, che «ha voluto essere ragguagliato sugli sviluppi e le prospettive della situazione politica in Italia».

L'11 si parla di un'altra «cordiale telefonata» con l'allora presidente tedesco Christian Wulff, e di un successivo colloquio con l'ex presidente francese Nicolas Sarkozy, fiducioso sulla capacità dell'Italia di darsi «al più presto un governo capace di contribuire al superamento di una situazione che è altamente preoccupante». Frasi di circostanza, che visti gli eventi di questi giorni assumono tutt'altra valenza.

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