Suicida a 15 anni, la sconfitta della scuolail commento 2

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Per giorni non ho fatto che pensare a quel povero ragazzo di Roma, suicidatosi a causa, sembra, della persecuzione di cui era stato fatto oggetto, anche su Facebook, a causa dei suoi atteggiamenti giudicati effeminati. Non uso di proposito parole come «omosessuale» o «gay», sia perché non so se si fosse dichiarato tale, sia perché un'altra parola, «quindicenne», rende molto meglio l'idea della tragedia che si è consumata.
I molti e cari amici omosessuali che la vita mi ha donato - primo fra tutti il mio maestro, Giovanni Testori - mi hanno indotto a riflettere sull'avversione, dalle origini antiche, che questa condizione suscita in chi ne è estraneo. Condannarla a priori o demonizzarla non serve che ad accrescerla.
L'opinione che mi sono fatto è che l'omosessualità sia un racconto di cose spiacevoli: essa ci dice, sul nostro conto, cose che non vorremmo conoscere, ma che esistono.
Essa ci riguarda da vicino, anche se ce ne dichiariamo estranei. Ma se fossimo realmente estranei non ne proveremmo tutto questo fastidio. Il problema grave è un altro. Ed è di natura educativa.
Mentre leggevo le cronache del caso, i miei occhi continuavano a tornare sulle povere unghie laccate del ragazzo e sulla ramanzina pubblica da lui subita, per questa ragione, da parte di un insegnante.
Non ha nessuna importanza sapere se la ramanzina sia stata violenta, oppure ironica, oppure improntata al tono paternalistico tipico della vecchia classe insegnante. È il contenuto a mettere la pelle d'oca: di fronte alla tragedia di un ragazzo giovanissimo che viene a scuola con le unghie laccate, la reazione di un educatore qual è? «Vergogna, non si viene a scuola con le unghie dipinte!».
In questo modo l'insegnante svolge il proprio compito istituzionale e, al tempo stesso, si colloca saldamente dalla parte dei più forti.
Io non condanno quell'insegnante perché non ho idea di cosa avrei fatto io, al suo posto.
Certo, il clima generale nelle scuole non aiuta il coraggio, e molti insegnanti si trovano completamente soli a combattere la loro battaglia quotidiana.
Ma la battaglia non è innanzitutto di ordine etico, bensì sulla trasmissione del sapere, perché solo la conoscenza vince i preconcetti atavici e la bestia che, più o meno sonnecchiante, vive in tutti noi.
I valori di una comunità, prima di essere oggetto di prediche, sono scritti nella sua storia, nella sua letteratura, nei suoi scienziati, nei suoi poeti, nella sua musica, nella matematica.
Mi rivolgo perciò al governo e in particolare al ministro Profumo.
Basta con i tagli alla scuola: bisogna investire nella scuola, anche a costo di far saltare a tutti un pranzo alla settimana. L'educazione è la vera guerra di oggi, e gli insegnanti sono il vero esercito.
E un buon esercito deve essere bene armato, ben equipaggiato per poter resistere ai rigurgiti di bestialità da un lato e al moralismo dall'altro.
Casi come quelli di quel povero ragazzo - che ha trovato la morte là dove avrebbe dovuto trovare chi lo accogliesse, insegnandogli a valorizzare tutto il bene che c'era, confusamente, in lui - non si devono più ripetere.
Nessuno «è» omosessuale o eterosessuale. Non esistono «gli» omosessuali, esistono le persone, ossia «virtute e canoscenza».

Ma comprendere questo è cosa dura: occorre prima dissodare il terreno, seminare, annaffiare, correggere, fare cioè in modo che i valori, corroborati dall'esperienza, emergano dalla persona.
Questa è la battaglia. E non ditemi «è vero, ma come si fa?, mancano i fondi». Sono pallide scuse.
Ben presto vedremo gli effetti devastanti (anche economicamente) della nostra diserzione educativa.

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