La tattica anti-scandalo funziona e la Chiesa si libera di Vatileaks

La governance vaticana si è messa a lavorare finalmente a pieno regime. La scossa che sembrava doverla destabilizzare una volta per tutte, e cioè lo scandalo che prese la scorsa primavera il nome di Vatileaks con l'ex maggiordomo papale Paolo Gabriele rinchiuso in carcere per aver sottratto e diffuso documenti riservati dall'appartamento papale, l'ha invece portata a reagire in modo per molti inaspettato. Ieri, l'ultima stoccata contro quei detrattori che avevano provato a invischiare nel fango di Vatileaks non soltanto il segretario di stato Tarcisio Bertone, ma anche il segretario del Papa Georg Gänswein. La nomina di ieri di Gänswein quale prefetto della Casa Pontificia (in sostanza «la famiglia» del Papa che lo assiste in Vaticano e durante i suoi viaggi) e insieme la promozione ad arcivescovo, rimanendo nello stesso tempo segretario particolare dello stesso Pontefice, dice del fatto che non è della cerchia ristretta dei suoi collaboratori che il Papa non si fida. Ratzinger vuole Gänswein ancora al suo fianco e lo vuole con un ruolo maggiormente rafforzato.
Dallo scorso giugno molte cose sono cambiate attorno a Benedetto XVI. Anzitutto Bertone e Gänswein hanno fatto quadrato. Lo scorso 24 novembre è stato promosso arciprete della Basilica di San Paolo fuori le Mura lo statunitense James Michael Harvey dopo anni a capo della Prefettura. Fu Harvey a portare nel 2006 Gabriele nell'appartamento papale e la cosa ha evidentemente avuto un certo peso. In estate, invece, è stato congedato il vice di Harvey, il vescovo Paolo De Nicolò, che comunque aveva appena raggiunto l'età pensionabile di 75 anni. Al suo posto è arrivato come reggente della Casa il padre rogazionista Leonardo Sapienza. La nomina di Gänswein è un unicum nel suo genere. Nemmeno con Stanislaw Dziwisz Giovanni Paolo II era arrivato a tanto. Mantenendolo al suo fianco come segretario, Wojtyla l'aveva promosso non a prefetto ma a «prefetto aggiunto» della stessa Casa pontificia. Intorno al Papa, e in particolare al segretario di stato Tarcisio Bertone, ha preso sempre più peso il laico dell'Opus Dei Greg Burke. Da advisor della comunicazione della segreteria di stato, suggerisce le strategie comunicative migliori per non impantanarsi in inutili scandali. Viene anche da lui, come del resto dai cardinali che parallelamente al processo a Gabriele hanno condotto un'indagine sotto segreto pontificio su Vatileaks, la decisione di svolgere nel modo più serio ma insieme rapido possibile il processo a Gabriele e a Claudio Sciarpelletti, il tecnico informatico co-imputato con il maggiordomo del Papa. La volontà era quella di chiudere la partita il prima possibile in modo da non annacquare da una parte il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione di ottobre, dall'altra l'anno che Papa Ratzinger ha voluto dedicare alla fede, con gli anniversari capitali dei cinquant'anni d'apertura del Concilio Vaticano II e i venti della pubblicazione del Catechismo. E così è stato. I due processi si sono chiusi a tempo di record appena prima della promozione di Gänswein.
Vatileaks aveva portato in luce anche una certa difficoltà di governance all'interno dello Ior, la banca vaticana. Se è vero che il board dello Ior ancora non ha deciso il nome del nuovo presidente, è altrettanto vero che un'azione decisa è stata compiuta verso regimi di maggiore trasparenza. René Brulhart, ex direttore della Financial Intelligence Unit del Liechtenstein, definito il «James Bond della finanza» dall'Economist, è stato nominato nelle scorse settimane direttore dell'Autorità di informazione finanziaria che lavora per adeguare il Vaticano alle norme internazionali in materia di antiriciclaggio ed entrare, finalmente, nella «white list» dell'Ocse.

Il giovane svizzero, appena quarantenne, ha preso il posto di Francesco De Pasquale, che dirigeva l'autorità da poco più di un anno. A favore di Brulhart ha giocato anche il fatto di non essere italiano. Come non italiano pare destinato a essere il nuovo presidente dello Ior.

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