L'Italia è già in ritardo. Lo Stato non ha più alibi, paghi subito le imprese

Con l'accelerazione della liquidazione dei debiti vincono tutti: il ministro dell'Economia deve accelerare i tempi della burocrazia

L'Italia è già in ritardo. Lo Stato non ha più alibi, paghi subito le imprese

Con l'accelerazione dei pagamenti delle Pubbliche amministrazioni verso le imprese vincono tutti. Vincono le aziende, vince l'economia italiana, vince lo Stato, perché si ripristina il rapporto di fiducia tra governo e cittadino. L'Europa ci ha già detto di sì, e ci dice di far presto. Non serve alcun passaggio parlamentare, perché il decreto è già stato approvato e adesso è in fase di attuazione. I soldi ci sono. E gli effetti benefici, facilmente intuibili, sono sotto gli occhi di tutti.

Ma perché allora il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, non persegue questa strada, che risolverebbe non solo i guai del Paese, ma anche i guai del governo, come il finanziamento dell'eliminazione dell'Imu sulla prima casa e del blocco dell'aumento dell'Iva? Forse perché non riesce a far funzionare la sua burocrazia e le burocrazie di Regioni, Province e Comuni. Rispetto ai tempi del decreto siamo già in ritardo, e la situazione potrebbe anche peggiorare. Lo strumento per salvare l'Italia c'è, ma la cattiva burocrazia e la cattiva politica lo impediscono. A questo punto serve un'operazione verità: stabilire una volta per tutte le cose da fare per portare il Paese fuori dalla crisi e denunciare chi si mette di traverso. Deve essere il presidente del Consiglio, Enrico Letta, a prendere in mano l'intera strategia.

Il rimborso dei debiti consiste in 20 miliardi di euro per spese di parte corrente più 10 miliardi di spese in conto capitale nel 2013 e in 20 miliardi nel 2014, per un totale di 50 miliardi. Nei nostri conti pubblici, i 40 miliardi relativi alle spese di parte corrente (forniture di beni e servizi) sono già computati nel deficit, mentre non sono compresi i 10 miliardi di spese in conto capitale (investimenti). Questo comporterà un aumento del deficit, nel 2013, dello 0,5% (da -2,4% a -2,9%), già concordato, come abbiamo visto, con l'Ue.

Perché l'impatto sul deficit del pagamento dei debiti commerciali dipende dall'origine dei debiti stessi: il pagamento incide sull'indebitamento netto solo per i debiti riguardanti le spese per gli investimenti, contabilizzati con il criterio della cassa, mentre i debiti riguardanti le spese in conto corrente non incidono sull'indebitamento netto, in quanto già contabilizzati nel saldo degli anni scorsi.
Tornando al decreto, indica uno scadenziario di attività che vedono come attori le Pubbliche amministrazioni, il Tesoro e la Cassa depositi e prestiti. I pagamenti interessano diverse pubbliche amministrazioni: gli Enti locali, le Regioni e le Province autonome, gli enti del Servizio sanitario nazionale e le amministrazioni dello Stato.
Il decreto prevede che i pagamenti avvengano con modalità differenti in relazione al comparto e alla tipologia di debito. Pertanto, persiste una ingestibile frammentazione di responsabilità fra le diverse amministrazioni. Si rende necessaria la costituzione di una task force per monitorare l'attività delle singole amministrazioni coinvolte per accertarne la tempestività di esecuzione, e di consentire al ministero di aggregare i dati, di dare comunicazione dell'andamento dei pagamenti e di trasmettere i dati al Parlamento con cadenza mensile.

Come è emerso dalla relazione del ministro Saccomanni alle Commissioni bilancio di Camera e Senato riunite il 3 luglio, il governo ha stimato che dal pagamento dei debiti, per la quota 2013 (10 miliardi per la spesa in conto capitale e 20 per beni e servizi), quest'anno il Pil possa aumentare di 0,2 punti. Ne deriva che se si anticiperanno anche i pagamenti previsti per il 2014 (altri 20 miliardi) il maggior traino del Pil potrebbe essere pari allo 0,5%.
L'aumento di 0,5 punti di Pil che scaturisce dall'anticipo del pagamento di tutti i 50 miliardi di debiti produrrà effetti positivi sul gettito dei principali tributi, oltre quanto già incorporato nei tendenziali di finanza pubblica sul gettito Iva, per via, come abbiamo visto, del riavvio del ciclo di fatturazione, quantificato in 4 miliardi, e sul gettito dei tributi diretti e dei contributi sociali, per via della ripresa produttiva e occupazionale, quantificato in 4-5 miliardi. L'effetto totale per le casse dello Stato è quindi stimabile in circa 8-9 miliardi. Importo più che sufficiente per finanziare i provvedimenti del governo su Imu e Iva.

A questi 50 miliardi di euro si possono aggiungere altri 50 miliardi di euro prevedendo ulteriori forme di finanziamento da parte del sistema bancario e delle società di factoring, da attivare mediante semplice concessione di garanzia da parte dello Stato su debiti certi, esigibili e ormai definitivamente accertati dalle procedure già poste in essere. Raddoppiando così i benefici derivanti dai pagamenti per le imprese, gli investimenti, l'occupazione, i consumi e lo Stato (gettito).
Ma anticipare i pagamenti significa anche completare l'azione pregiudiziale della certificazione del debito. Un'operazione di indubbia credibilità, che darebbe maggiore accountability ai nostri conti pubblici, spesso criticati, a livello europeo, proprio per la scarsa trasparenza. Le aziende avrebbero in mano un titolo di credito certo, che potrebbe essere assistito dalla garanzia statale (non costa nulla) che, a sua volta, potrebbe essere scontato in banca, senza creare ulteriori difficoltà per il sistema bancario.
Né vale la controdeduzione che una simile accelerazione farebbe crescere ulteriormente il debito pubblico. L'unica cosa che crescerebbe è il suo valore contabile, a certificazione di un debito effettivo, anche se posto fuori dalla contabilità ufficiale. Questa operazione trasparenza deve essere compiuta prima del 2016, anno in cui scatteranno le regole del Fiscal compact.

Infine, attuare il pagamento dei crediti per 50 miliardi nel 2013 significa fornire a quelle aziende liquidità pari al 70% del gettito complessivo annuo di Ires ed Irap (circa 70 miliardi). L'operazione viene portata a termine nel momento in cui il credit crunch si fa nuovamente sentire, sia a causa delle difficoltà che incontrano le banche nei finanziamenti internazionali, sia a causa del deprezzamento degli immobili dati in garanzia. E non dimentichiamo che lo spread dei titoli di Stato italiani nei confronti di quelli spagnoli è sceso da 100 punti dell'inizio dell'anno ai 20 punti di questi giorni. Ciò sta indicare che nella valutazione dei mercati il rischio Italia è divenuto serio come quello spagnolo.
Entro il 30 giugno le Pubbliche amministrazioni avevano l'obbligo di comunicare ai creditori l'importo e la data entro la quale provvederanno ai pagamenti. Ed entro il 5 luglio le stesse Pa dovevano pubblicare sul proprio sito l'elenco dei debiti per i quali è stata effettuata la comunicazione entro il 30 giugno. A che punto siamo? Leggendo i dati diffusi dal Mef, emerge che gli uffici sono in ritardo e le risorse insufficienti, in gran parte per la complessità delle procedure, che rallenta la corretta ed efficace implementazione del decreto.

E questo è ancora più colpevole, da parte del ministero, perché le criticità del decreto sono state sempre temute, dette, evidenziate dalle forze parlamentari in questi mesi, mentre il Mef, schiavo delle burocrazie interne, non ha mosso di un millimetro la propria posizione. Per questo ha ragione il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: «Per crescere sfrondare lo Stato». La necessità di farlo risulta evidente proprio dall'andamento del saldo dei debiti delle Pa. Come la macchina statale italiana: burocratica, pesante, costantemente in ritardo.

L'occasione per farla ripartire oggi ce l'abbiamo: accelerare i pagamenti è una decisione che, se presa con forza direttamente dal presidente del Consiglio e comunicata con chiarezza a cittadini e imprese, è in grado di cambiare segno all'andamento dell'economia italiana, da troppo tempo negativo. Non possiamo sprecarla.

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