Zaia, il sognatore leghista che vuole unire il Nord-Est

L'ex ministro dell'Agricoltura è un veterinario mancato con la passione per i cavalli. Il suo obiettivo da governatore del Veneto è un'area unica con Carinzia e Dalmazia

Zaia, il sognatore leghista che vuole unire il Nord-Est

Poiché la politica è in tale declino che per trovare un po' di buon senso siamo ridotti a sperare in due ex comunisti - Luciano Violante in Italia e Vladimir Putin nel mondo - è piacevole scrivere oggi di Luca Zaia, politico minore, ma schietto e simpatico.

Il quarantacinquenne Zaia è da tre anni presidente leghista del Veneto e il governatore regionale con maggiore gradimento. È sposato con Raffaella, trevigiana come lui, bella donna dai capelli rossi sciolti alla lady Godyva, che nella sua unica intervista ha così descritto il marito: «Non parla male delle persone e concede sempre una seconda chance». Per poi aggiungere, stimolata dal giornalista che voleva assolutamente un difetto: «Un po' brontolone».

Luca e Raffaella non hanno figli e abitano a Treviso in un appartamento di 58 metri quadri. Hanno fatto un tentativo per qualcosa di più spazioso, comprando un casale dove Zaia avrebbe potuto soddisfare la sua passione per i cavalli, ma la magione si è rivelata infestata dai fantasmi e ne sono fuggiti. La mancanza di figli non pesa perché la coppia è salda, ma stride con la tradizione degli Zaia, ceppo di nuclei numerosi. La mamma di Luca aveva dieci fratelli, cui si aggiunsero, morta una zia, sei cugini. Imponente anche la famiglia del padre, figlio di un emigrante che fece qualche fortuna oltreoceano e che, tornato a Conegliano, mise su la casa dov'è nato Luca. «Avevamo un tavolo di otto metri - ha raccontato - in cui si mangiava tutti insieme con zii e nonni».

Gli Zaia sono trevigiani da quindici generazioni, ma l'origine pare sia dalmata. In ogni caso, sempre stati sotto la Serenissima Repubblica di Venezia. Il venetismo è perciò nelle carni di Luca, cosa che esprime parafrasando un passo delle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, libro che cita di continuo come fosse l'unico letto. L'imperatore diceva: «Ho governato in latino, ma in greco ho pensato e in greco ho vissuto». Ecco: per Zaia, il greco è il veneto e il latino è l'italiano di cui una volta ha detto: «Parlarlo non mi è naturale». Quando pensa all'idioma veneto e alla sparizione dei dialetti, si commuove al punto da perdere il senso delle proporzioni e usa termini quali «olocausto linguistico» come si trattasse di una strage sanguinaria. Oggi che è governatore, rende concreto l'amore per la Serenissima lavorando per una futura Macroregione del Nord-Est che, oltre alla Carinzia austriaca e alla slava Slovenia, includa l'antica colonia veneziana dei croato-dalmati che Luca considera «fratelli di sangue».

L'infanzia coneglianese di Zaia è stata serena. Il babbo aveva un'avviata officina meccanica ma il ragazzo amava la terra e gli animali. Con l'idea di fare Veterinaria, Luca si diplomò in Enologia all'Istituto Cerletti, rinomato per la specialità. In «Produzione animale», cui era spinto dall'amore per i cavalli, si laureò a Udine dopo avere cominciato a Parma. Per mantenersi, aprì diciottenne la sua prima partita Iva. È stato cameriere, uomo delle pulizie, muratore, maestro cavallerizzo, animatore della discoteca Manhattan di Godega. Al pub, poco più che ventenne, conobbe la coetanea Raffaella, operaia in un lanificio, poi segretaria d'azienda. Prestissimo fu conquistato dalla politica che, terragno come si sentiva, prese subito le fattezze della Liga Veneta e della Lega Nord.

A 29 anni era già presidente della Provincia di Treviso, il più giovane d'Italia. Ebbe un'idea che lo mise sulla bocca di tutti. Comprò sei asini brucaerba che utilizzò per pulire i bordi delle strade al posto dei falciatori. «C'era - spiegò - una scarpata di tre chilometri. Falciarla costava ottantamila euro l'anno. Ho comprato gli asini per cinquemila euro, più diecimila per il pastore. Risparmio secco. Ora anche i privati ricorrono agli asini».

Benvoluto da Bossi e discosto dagli intrighi leghisti, a 37 anni (2005) divenne vicepresidente della Regione, di cui era Governatore il pdl, Giancarlo Galan. Un giorno che il capo dello Stato, Ciampi, venne in visita, gli sussurrò all'orecchio: «Si ricordi che il Nord ne ha le palle piene». Si distinse poi per una truculenta campagna di educazione stradale in cui piazzò sulle rotonde i rottami delle auto coinvolte in incidenti mortali. Un efficace museo degli orrori a cielo aperto che in breve dimezzò le vittime. Subito dopo, si fece però beccare dalla Polstrada mentre sfrecciava su una Bmw fra Treviso e Venezia a 193 km orari. Fu messo in croce per settimane. «Il più grande errore della mia vita politica - ammise -. Ho pagato 407 euro di multa e sono stato un mese senza patente. In più, ho fatto mea culpa iscrivendomi all'autoscuola per prendere la patente C, perché la B l'avevo già. Dovevo anche andare a Lourdes?».

Essendo un tipo molto automobilistico, gli capitò anche di passare davanti a un'auto in fiamme con il conducente albanese che, inchiodato al volante come un baccalà, rischiava di saltare in aria. Zaia lo tirò fuori e l'altro gli disse: «Sono un immigrato, nessuno si fermava». Questo gesto spontaneo e normale in una persona dabbene, gli procurò fama di leghista non razzista. In effetti, sugli stranieri Luca ha idee che per la loro saggia essenzialità potrebbero essere tradotte in legge: «Cittadini dopo dieci anni di permanenza e dopo un esame della lingua e della tradizione italiana».

Col quarto governo Berlusconi, nel 2008, Zaia diventò a quarant'anni ministro dell'Agricoltura e accese la fantasia dei giornalisti. Il suo primo atto fu abolire la tradizionale livrea dei commessi ministeriali con le code che strusciavano per terra. «Quell'abito era simbolo di servaggio», spiegò Luca. Poi fece togliere dallo studio le foto dei suoi predecessori al Dicastero. «Molti sono già morti - disse -. L'agricoltura ha bisogno di futuro. Metterò le foto dei giovani che si occupano di produzioni di punta».

Con queste curiose iniziative e un dinamismo contagioso, le richieste di interviste fioccarono. «Zaia si vende come un fustino di Dash», gongolava l'addetto stampa. Inoltre, con i cronisti ci sapeva fare. Aveva una battuta nuova anche per l'ultimo scalzacani. C'era poi l'aspetto che intrigava: capelli ravviati al gel, tipo «er pomata», completo scuro, pantaloni stretti alle caviglie. Un autentico sivigliano. «Hablo espanol. In Spagna mi prendono per spagnolo», diceva lui a chi gli faceva notare il suo stile tanghéro.

Restò al ministero due anni, facendo buone cose.

Batté i pugni a Bruxelles e sistemò al meglio l'annosa questione delle quote latte. Poi, profittando delle amministrative 2010, si fece eleggere Governatore. Lasciò Roma e corse felice nella Serenessima Venezia. Senza rimpianti, com'era nella sua natura di onesto sognatore provinciale.

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