Gli interrogatori farsa su un reato inesistente

Ho concluso l’ultimo articolo sulla incandescente materia che infiamma l’intelletto dei magistrati di Milano con una frase dura: «Io, invece, se fossi in Bruti Liberati mi vergognerei». Voglio spiegarmi per chi lo creda persona retta e onesta. Non ho motivo di dubitarne, se non per la contraddizione di avere pubblicamente dichiarato che tutto era regolare nei comportamenti e nelle decisioni degli uomini della Questura di Milano che ricevettero la celebre telefonata di Berlusconi per segnalare la presunta nipote di Mubarak. Una segnalazione su cui si è molto sorriso. E non meritava di più. Invece è diventato un caso di Stato. E, anzi, uno dei grandi processi su cui si è concentrata l’attenzione internazionale e che ha, di fatto, assunto un significato politico determinando tifoserie di chi vuole mandare a casa Berlusconi e di chi lo vede al centro di sproporzionate attenzioni da parte della procura di Milano.
L’inesistenza del danno alle «parti lese» che non si percepiscono come tali, e che non si sono costituite parte civile, amplifica la sensazione di un grande fragore senza ragione, di molto rumore per nulla, e di un risultato estraneo agli interessi della giustizia, e invece utile solo alla battaglia politica, con grave sospetto sulle ragioni reali che hanno determinato l’inchiesta. E non è difficile pensarlo. Un tempo importanti magistrati si occupavano di mafia, di terrorismo, di criminalità. Ora sembrano emuli di Signorini e di Corona: si occupano delle parole di Ruby. E ascoltano le telefonate delle ragazze maggiorenni che vanno in visita al premier per confortarlo dalla traumatica separazione dalla moglie. Non riusciamo a capire quale possa essere l’aspettativa di un processo che si annuncia lungo, per aggiungere una qualche verità, negata dalle parti e in cui non si capisce chi sia la vittima giacché nessuno può pensare che sia Ruby dal momento che non ha patito alcun danno, che era in condizioni di intendere e di volere, che, come afferma il suo avvocato, non si è mai considerata una prostituta e, come ho detto mille volte, non ha mai contrattato una tariffa per le sue prestazioni, peraltro negate.
Anzi, dal polverone mediatico sollevato dall’inchiesta ha ottenuto solo vantaggi. Ingaggi, serate, popolarità, fino ad essere pagata 40mila euro per un invito al ballo delle debuttanti di Vienna. Nessun danno per lei, dunque. Molto danno per Berlusconi e per l’Italia. E non certo perché Berlusconi abbia inteso render nota la sua conoscenza con lei, anche alle persone più vicine. Con me, per esempio, non ne ha mai parlato. E spesso, con me, di donne per puro divertimento ha parlato. In questa stessa logica, di riservatezza, si inserisce anche la telefonata alla Questura che, per ragioni di Stato, o per ragioni di immagine, intendeva evitare una inutile pubblicità a frequentazioni personali cui ognuno ha diritto. Il reato è dunque non la libertà di frequentare chi si vuole, anche con eventualità sentimentali, amorose od erotiche, ma l’aver pagato una minorenne per una pura prestazione sessuale. Non dichiarata e non dimostrata. Ed esclusa dalla lunga frequentazione dimostrata dagli stessi magistrati con accaniti approfondimenti che servono semplicemente a definire una amicizia di cui non è interessante sapere le motivazioni e che non ha niente a che fare con la prostituzione.
Se una donna viene a casa mia, se mi telefona e mi chiede aiuto (tanto più essendo Berlusconi un uomo potente, ammirato, generoso, e proprietario di televisioni) è un’amica, può essere un’amante, ma non è una prostituta. Chi lo fa per scelta o per piacere non lo fa per lavoro. Allora proviamo a immaginare il dibattimento in un tribunale, quello per cui si è mobilitata la stampa internazionale, desiderosa di conoscere dettagli, di raggiungere una verità giudiziaria. Ecco allora i grandi magistrati Boccassini e Forno, e anche Sangermano, sotto l’occhio vigile di Bruti Liberati che li osserva con partecipazione e compiacimento, iniziare a interrogare non Ruby soltanto, ma decine di ragazze mosse da attrazione, simpatia, amicizia, interesse e anche calcolo, nei confronti del premier. Vanno e vengono da casa sua. Ne hanno il numero di telefono. Gli inviano messaggini e, nelle telefonate intercettate e pubblicate, vengono chiamate affettuosamente «amore», «tesoro» e altre carinerie. Io ne ho viste alcune dolcissime con lui che è sempre disponibile e gentile, come spesso non sono i loro coetanei. Come possono essere chiamate prostitute? È questo il linguaggio della puttana con il cliente? E quando mai una puttana è stata a tavola, in amabili conversazioni con chi la paga per fare sesso? Sembra che l’obiettivo degli arcigni magistrati, non avendo di meglio da fare, sia dimostrare che sono tutte prostitue.
Immaginiamo allora la Boccassini che interroga Marysthell Polanco e le chiede: «Quante volte?». La Polanco risponde: «Mai». Non convince. La Boccassini insiste: «È sicura?». La Polanco risponde: «A pensarci bene, due volte». La Boccassini incalza: «Furono rapporti completi?». La Polanco: «Non ricordo». Boccassini: «Furono rapporti orali?». La Polanco: «Anche». Oppure: «No». Ancora: «Eravate da soli?». La Polanco: «Si». Oppure: «No». Insomma, procedendo di curiosità in curiosità l’interrogatorio finirà con l’assomigliare alle domande di un prete in confessionale. «Quante volte?», «avete compiuto atti impuri?». Ma la Boccassini potrebbe avere anche altre curiosità per la delizia dei giornalisti e dei corrispondenti internazionali. «E in che posizione?». «Lo avete fatto in piedi?». E (con improvviso rossore): «L’ha visto nudo?». Risposte imbarazzate, più di alcune che di altre. La già rossa Boccassini incalza (con crescente rossore ma complicità femminile): «Ed era grande?». Lieve esitazione nella risposta della Polanco o di altre: «Grandissimo!». Queste domande potrebbero essere rivolte a circa quaranta ragazze con analoghe risposte. E a tutte la domanda regina: «Lei abitualmente si prostituisce?». Unanime risposta: «No». Ma la Boccassini incalza: «Neanche occasionalmente?». Risposta in coro: «No, no, no». Boccassini: «Per le sue prestazioni è stata contestualmente pagata?». Risposta: «No, mai». Boccassini: «Neanche occasionalmente?». «No». Boccassini: «Cosa l’ha spinta allora a frequentare il detto Berlusconi Silvio, oggi contumace?». Risposta (individuale e corale): «Divertimento e amore». Boccassini: «Ohibò, lei dunque non è una prostituta?». Risposta (unanime, corale): «No».
Ci sarebbero poi gli interrogatori più difficili e impegnativi per Belen Rodriguez, per Barbara D’Urso, Elisabetta Canalis, le quali, a ogni domanda, risponderebbero indignate: «Mai». Francesca Cipriani sgranerebbe gli occhi puntualizzando. «Io ero onorata di essere invitata dal dottor Berlusconi, gli ho sempre dato del lei». Qui si apre la difficile questione se sia possibile compiere atti sessuali dandosi del lei. Io posso testimoniare che le varianti nei rapporti tra uomo e donna sono tante, a contraddistinguere il prima, il durante e il dopo, a seconda delle condizioni sociali e dei rapporti di lavoro e di dipendenza con la persona importante finalmente avvicinata da chi è abituata a essere tenuta a distanza. Si passa dal frequente tu-tu-tu al regolare lei-tu-tu, al rispettoso (nella differenza tra situazione privata e situazione pubblica) lei-tu-lei, fino al rarissimo e molto eccitante lei-lei-lei. Una donna che mantiene le distanze, rispettosamente, anche nel momento della massima intimità. Non è il caso di Berlusconi. Tutte, versate al tu, a differenza di molti deputati che continuano a dargli del lei. Per le ragazze l’amicizia è sacra.
Ma provate a spiegarlo alla Boccassini. Essa, negli interrogatori, dovrà, per dimostrare la sua tesi, occuparsi soltanto di parti genitali, e difficilmente, potrà ottenere qualche risultato interessandosi alle parole gentili che Berlusconi scambia con le sue amiche per puro piacere conviviale. Ma la Boccassini non vorrà credere che una ragazza che spunta da sotto un tavolo lo abbia fatto per divertimento, per scherzo, e non per perversi atti di concupiscenza. C’è da chiedersi cosa avrebbe pensato della Maddalena che Paolo Veronese non dipinse nella sua Ultima Cena (poi Cena in Casa di Levi), perché non si poteva vedere, in quanto in ginocchio.
In effetti la vicenda di Berlusconi e delle ragazze, incolpevoli, lui e loro, che lo hanno frequentato, ma chiamate a rispondere sulla natura dei loro rapporti, assomiglia molto al processo per eresia che il Tribunale della Inquisizione fece al grande pittore - Paolo Veronese appunto - per avere messo nella sua Ultima Cena ben 56 personaggi, non i 13 di ordinanza. Il pittore cercò di spiegare le sue ragioni, e che aveva seguito l’estro, come fanno i poeti e i matti; ma non fu creduto. E fu condannato a cambiare il suo dipinto, e intanto a mutarne il titolo per indicare una diversa situazione rispetto a l’Ultima Cena.
Anche Berlusconi di cene ne ha fatte tante, con e senza Ruby, e sembra dover rispondere del reato di cena, soprattutto se le ragazze negheranno, come è lecito, per virtù o per riservatezza, i rapporti sessuali. E soprattutto di avere fornito prestazioni a pagamento. Tutte le ragazze sono indicate come testimoni per dimostrare un clima, un ambiennte, una situazione che serva a confermare che, come loro, anche Ruby era una prostituta. Ed ecco la necessità di alcune domande. Ma quando si verrà a conoscere la molto più normale natura dei loro rapporti, al di là di ogni legittimo rilievo moralistico, l’inchiesta mostrerà il suo desolante vuoto. E si sarà ottenuto il solo divertimento dei giornalisti per sentire in tribunale le stesse cose che si leggono nei giornali di gossip o si ascoltano nelle interviste televisive.

Con quale spirito illustri e valorosi (e anche virtuosi?) magistrati si appresteranno a fare tali interrogatori? E non avranno, come io credo, il pudore di vergognarsene? E i pettegolezzi inevitabili, con infinito dispendio di denaro pubblico non appaiono - anche solo a essere immaginati - più gravi delle barzellette rubate a Berlusconi? E dov’è la gravitas dei magistrati? Giusto o no, caro Merlo?

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