Buone notizie per i 25 mila pazienti in Italia che soffrono di ernia postoperatoria: ora possono guarisce con la chirurgia mininvasiva che consente di ridurre sia la degenza che la convalescenza, oltre alle infezioni, alle recidive e all'assunzione di farmaci.
La laparoscopia può, infatti, essere utilizzata in interventi d'urgenza, quando l'ernia ha grandi dimensioni, su donne in età fertile o dopo un parto cesareo, su anziani, obesi e malati di cirrosi.
Questi risultati sono stati presentati al 29° Congresso Nazionale ACOI, che si è svolto recentemente a Paestum.
Si è tenuta in questa occasione la prima Consensus Conference sul tema, patrocinata dalle società scientifiche SIC, SICE ed ACOI, in cui 85 specialisti hanno analizzato una casistica di migliaia di interventi e 150 pubblicazioni scientifiche.
L'intervento comporta solo 3 fori, di un centimetro ciascuno. Questo vuol dire che trauma e dolore postoperatori sono ridotti, come i rischi di infezioni, diminuiti di 6 volte, quelli di recidive sotto il 6%, ma anche l'uso di farmaci.
Degenza e convalescenza scendono rispettivamente da 7 a 2-3 giorni, e da 1 mese a 1 settimana, con una rapida ripresa del paziente ed una buona qualità di vita.
I dati sono dunque incoraggianti per il trattamento laparoscopico dell'ernia della parete addominale, che può insorgere in seguito a un intervento chirurgico sull'addome.
Naturalmente, il confronto tra le due tecniche chirurgiche continuerà ad essere verificato nella comunità scientifica.
«Questo tipo di ernia - spiega Diego Cuccurullo, presidente della Consensus Conference e primo aiuto chirurgo presso all'ospedale Monaldi di Napoli - oggi può essere curato con un approccio mininvasivo più rapido che in chirurgia aperta e relativamente sicuro in mani esperte. La procedura laparoscopica consente di ottenere molti vantaggi per il paziente e per il chirurgo, oltre alla completa visualizzazione ed esplorazione della parete addominale, con possibilità di identificare anche i difetti più piccoli, non identificati dall'esame clinico preoperatorio».
L'approccio mininvasivo, aggiunge Micaela Piccoli, coordinatore scientifico della Consensus Conference e primo aiuto chirurgo nel Nuovo Ospedale Sant'Agostino Estense di Baggiovara (Mo), può essere utilizzato anche nel caso in cui il paziente sia una donna in età fertile oppure dopo un parto cesareo, in urgenza, quando l'ernia abbia grandi dimensioni, su anziani, obesi e cirrotici.
Vediamo in che cosa consiste l'intervento. Vengono praticati 3 piccoli forellini di un centimetro di diametro nei quali viene introdotto il laparoscopio, uno strumento dotato di due canali ottici: uno porta la luce all'interno dell'addome e l'altro trasmette all'esterno l'immagine degli organi proiettandole su un monitor.
L'ernia viene fatta rientrare nella cavità addominale e, in corrispondenza della ferita da cui era fuoriuscita, viene posizionata (con clips metalliche riassorbili di 6 mm e punti di sutura) una protesi, una sorta di rete, che chiude la lacerazione e rinforza la parete muscolare.
La durata dell'intervento, come si è detto più breve di quello tradizionale, dipende non tanto dalla difficoltà tecnica di posizionare la protesi quanto dall'entità delle aderenze presenti in addome, dovute ai precedenti interventi.
Un vantaggio importante, sottolinea il professor Gianluigi Melotti, da ottobre presidente della Sociatà italiana chirurgia, è il fatto che in questo modo si riduce «l'incidenza di infezioni e di recidive, ma anche la manipolazione dei tessuti».
Rispetto alla chirurgia tradizionale, quindi, i risultati sono più confortanti ma per avere ottimi risultati la laparoscopia deve seguire indicazioni selettive ed essere praticata da medici con la giusta formazione chirurgica. «Questo tipo di chirurgia avanzata - aggiunge Melotti - può essere eseguita in centri che vantino un'ampia casistica ed una lunga esperienza».
Ce ne sono diversi, in ogni regione d'Italia, che vantano una buona esperienza per quanto riguarda questo genere di interventi. Eppure, la chirurgia tradizionale rappresenta ancora il 60% del totale degli interventi.
La chirurgia mininvasiva ottiene, dunque, sempre più applicazioni e benefici, perchè aumentano le tipologie ed il numero di interventi in cui viene eseguita questa tecnica.
Oltre all'intervento per l'asportazione della colecisti e della chirurgia dell'endometriosi, che oggi si eseguono in oltre il 90% dei casi per via laparoscopica, questa procedura viene utilizzata sempre più spesso negli interventi di asportazione del tumore del colon, il secondo tipo di neoplasia in assoluto più diffusa nel nostro paese, che colpisce quasi 40 mila persone all'anno. «Negli ultimi 10 anni - precisa il professor Francesco Corcione, Presidente della Società Italiana Chirurgia Endoscopica e Direttore della Chirurgia Generale dell'Azienda Ospedaliera Monaldi di Napoli- è passato dal 5%, al 20-25% dei casi. Un altro ambito in cui cresce sempre più l'uso della chirurgia mininvasiva è quello urologico. Gli interventi al rene eseguiti con la suddetta tecnica sono il 25-30% e quelli per l'asportazione della prostata, tra i tumori più diffusi con 20.000 nuovi casi all'anno in Italia, sono passati dal 5% al 50%».
La procedura è eseguita anche per interventi di chirurgia dell'obesità, 10-15%, dell'appendice, 10%, di isterectomia, 25%, della milza, 8%, del fegato e dello stomaco, entrambe 5% oltre a quella della vescica, 0.5%.
Da alcuni anni la chirurgia laparoscopica viene eseguita anche in operazioni molto complesse come quelle per tumore all'esofago e al pancreas.
L' importante è ricordare che l'intervento in laparoscopia, pur garantendo importanti vantaggi, rimane un atto chirurgico vero e proprio da non affrontare con leggerezza.
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