INTOLLERANZA TRAVESTITA

Degli incidenti che si sono svolti davanti all’università romana La Sapienza - con la solita successiva manfrina del «visto da destra» e «visto da sinistra» - leggerete a parte. Io mi limito a qualche considerazione.
Se un gruppo di studenti non vuole che Benedetto XVI sia accolto alla Sapienza, Benedetto XVI deve rinunciare alla visita. Se un gruppo di studenti non vuole che alla Sapienza sia consentito un dibattito sulle foibe con l'intervento di Roberto Fiore, esponente di Forza nuova ed europarlamentare, il dibattito viene cancellato. I due episodi, sia chiaro, hanno diversissima valenza. Lo sgarbo al Papa è stato ed è di gran lunga più grave del rifiuto opposto ad un molto discusso personaggio della politica minore. Ma se si ragiona sui principi, bisogna pur dire che il caso Fiore, sommandosi al caso Ratzinger indica il persistere, in settori (universitari o no) della sinistra antagonista, d’una stagionata tendenza alla sopraffazione. Ragazzotti presuntuosi che sanno poco e blaterano molto rivendicano il diritto di distribuire patenti di democrazia, e autorizzazioni d'accesso all'ateneo.
Il preside della facoltà di lettere e filosofia Guido Pescosolido, autorevole docente dell’età moderna, aveva autorizzato per domani giovedì il convegno chiesto da due universitari e perorato da Fiore. Ma i collettivi antifascisti sono partiti al contrattacco. In un momento in cui spirano «venti di destra» e in cui si scatenano le violenze del quartiere Pigneto l’iniziativa rappresentava, si è detto, una provocazione. Non si poteva ammettere che in una «facoltà antifascista per memoria storica, attitudine e composizione» fossero riesumati «falsi teoremi sugli opposti estremismi».
Era dunque dovere dei collettivi, detentori della verità, di decidere tabù, veti, anatemi. Non aveva avuto libertà di parola Ratzinger, figurarsi se poteva essere concessa a Fiore, portavoce di «un'organizzazione anticostituzionale».
In realtà Forza nuova, sgradevole quanto si vuole, è un'etichetta legale, e Fiore siede per volontà di elettori italiani nell'europarlamento, che non è la birreria hitleriana di Monaco.
Per impedire che il dibattito si svolgesse i contestatori hanno occupato la presidenza della facoltà, e se ne sono andati - promettendo tuttavia vigilanza arcigna, e mantenendo la promessa - solo dopo che il prorettore Luigi Frati - essendo in viaggio a Mosca il rettore Renato Guarini - ha comunicato l’annullamento del convegno «per il timore che disordini prendano il posto di un libero dibattito». In effetti il dibattito non c’è stato, ci sono stati i disordini.
Di solito, in queste circostanze, l’intolleranza riveste per essere accettata, i panni nobili dell’antifascismo. E, secondo schemi tanto vecchi quanto astuti, sono evocati ideali nobili - come la ribellione al razzismo - per far passare divieti e censure ideologici.
È uno stratagemma d’annata. Nel 1960 il Pci volle impedire - avendo come obiettivo la caduta del governo Tambroni - che il Msi tenesse a Genova il suo congresso: che era il quarto del Msi, e i precedenti si erano svolti senza incidenti. Si affermò che Genova era una città medaglia d’oro della Resistenza, che il congresso si sarebbe tenuto in un teatro distante solo una cinquantina di metri da una lapide partigiana, che tutto questo rappresentava la classica «provocazione». Genova fu messa a soqquadro, il congresso non si tenne, Tambroni cadde.
Eventi del massimo rilievo, quelli di quasi mezzo secolo fa; innescati per un disegno politico importante da un fortissimo partito comunista.

Oggi abbiamo parodie lillipuziane delle tecniche agitatorie d’un tempo: oggi tutto volge al bonsai e al grottesco, i residui piazzaioli e studenteschi d’una sinistra allo sbando fanno la voce grossa con gli epigoni di un’estrema destra irrilevante. Purtroppo si è arrivati ai pugni, ai randelli, ai coltelli. Qualcuno ci è voluto arrivare, a tutti i costi.
Mario Cervi

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