«Io, psicologa, scaccio gli incubi dei bimbi col gioco»

nostro inviato all’Aquila

Oriana Broccolini è giovane, stanca, febbrile. È una delle migliaia di persone giunte all'Aquila e dintorni per aiutare. Lei però deve farlo senza farsene accorgere. È una psicologa dell'emergenza di Teramo che opera da ore nella tendopoli di piazza d'Armi. Una delle decine e decine di colleghi che lavorano a snodare gli incubi della gente nelle tendopoli, negli ospedali, davanti agli obitori. Oriana presidia una tenda verde con un foglio su cui c'è scritto a penna (il sisma abruzzese è la rivincita della bic sul computer): psicologo.
Facile a scriversi. Oriana gira, parla, accoglie le segnalazioni di persone che hanno bisogno di lei. Un uomo di una certa età è confuso, non ricorda più la sua casa. La moglie e la figlia la chiamano: lei entra nella tenda azzurra, con la scusa di compilare dei fogli prestampati, parla all'uomo, chiede, le familiari intervengono, ci si confronta, si ricorda, poi intervengono anche gli altri presenti. Davanti a noi prende forma una commovente terapia di gruppo. In tutto ciò manca quasi del tutto la paura delle scosse. «Quelle le hanno già vissute, non li spaventano più di tanto. Li turba di più il quotidiano, vogliono risposte, vogliono tornare a casa, non sanno che cosa succederà loro». Vicino a noi dei bimbi giocano con un volontario, naso da clown e in mano un cartello (anche questo scritto a mano): «Dono abbracci». «I bambini non sono necessariamente i soggetti più delicati, si adattano meglio dei grandi ai cambiamenti. Hanno solo bisogno di giocare, stare in tenda tutto il tempo senza fare nulla è terribile, noi diamo loro un po' di routine». Ipotizziamo che l'incoscienza aiuti in questi frangenti. «Incoscienza? Guardi che capiscono benissimo quello che è accaduto», ci gela Oriana. E gli anziani? «Loro hanno un supporto farmacologico, ci chiedono medicine».
Come per le necessità ordinarie, anche per quelle psicologiche l'oggi preoccupa meno del domani. Come si vive con il ricordo della notte in cui la terra ha mangiato la città? «Queste persone andranno seguite con processi di debriefing e di defusing». Parole oscure che significano sostanzialmente una «ristrutturazione cognitiva di quello che hanno visto». Molti di loro dovranno quindi rivolgersi agli psicologi locali e per questo è già stato sollecitato anche l'ordine degli psicologi dell'Aquila. E un po' d'aiuto lo meritano anche i tanti operatori del soccorso, i volontari, le forze dell'ordine. Persone apparentemente pronte a tutto, ma che accumulano sensazioni indimenticabili. «Quelle più esperte non hanno problemi - distingue Oriana - ma quelle alla prima esperienza del genere hanno bisogno di un momento d'incontro per decomprimere le emozioni».
Ancora più difficile il compito di chi deve assistere psicologicamente i parenti delle vittime. «Quello del riconoscimento - dice Marilena Tettamanzi, che fa parte di una squadra di cinque psicologi giunti da Milano - è il momento più drammatico, gli istanti che lo precedono sono i più devastanti».

I corpi delle vittime sono allineati nell'hangar della scuola sottufficiali della Guardia di Finanza dell'Aquila, che fa da quartier generale, da sala stampa, da obitorio e farà anche da chiesa per il funerale. «Ognuno ha bisogno di un tempo suo, qui non possiamo ripetere la ritualità che accompagna normalmente il lutto, ma stiamo cercando di dare la possibilità ai familiari di poter stare un po' con i loro cari».

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