Iran, Parigi rompe con gli Stati Uniti

Ma Teheran gela tutti: nessun rinvio del programma

Gian Micalessin

Ora è chiaro. La battaglia non è più tra Washington e Teheran, ma tra la Casa Bianca e l’Eliseo. È divampata durante l’ultimo «5+1», l’incontro allargato alla Germania dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ed ha sgretolato il fronte occidentale dividendo Europa e Stati Uniti. Ad ammetterlo è il presidente francese Jacques Chirac alla vigilia di un cruciale viaggio oltreoceano durante il quale parteciperà all’apertura dell’Assemblea Generale dell’Onu ed incontrerà Bush. «Durante le trattative – ha rivelato Chirac - ho proposto di non ricorrere alle sanzioni del Consiglio di Sicurezza per ottenere la rinuncia dell’Iran all’arricchimento nel corso di un negoziato». La proposta ha dato il via ai colloqui di Vienna tra Javier Solana e il capo dei negoziatori iraniani Alì Larijani. Quei colloqui del capo della diplomazia di Bruxelles avevano già evidenziato le divergenze tra Stati Uniti e Europa. Nessun leader europeo aveva però ancora ammesso la rottura. Ufficialmente la sospensione dell’arricchimento dell’uranio pretesa da Washington restava la precondizione indispensabile per qualsiasi trattativa.
Ora Chirac chiarisce di aver archiviato la politica comune con gli Stati Uniti. Una politica avviata nel 2003 quando l’Iran rivelò di perseguire da diciotto anni un programma nucleare clandestino. Lo scontro tra Francia e Stati Uniti ricorda quello precedente l’invasione dell’Irak e potrebbe anche stavolta divampare al Palazzo di Vetro dove prenderanno la parola sia Bush, sia Chirac sia il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. «Il dialogo ha ancora molte potenzialità - ha spiegato Chirac – e io voglio andare fino in fondo prima di scegliere qualsiasi altra direzione, il dialogo ci può aiutare ad uscire da questa crisi».
Bush userà la platea dell’Onu per avvertire gli alleati di non farsi suggestionare dalle possibilità di un dialogo con Teheran e evidenziare i rischi di uno stallo capace di dar via libera alla corsa nucleare iraniana. Timore condiviso anche dal ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni che, ha spiegato ieri, considera il pieno controllo delle tecnologie sull’arricchimento e non la costruzione della bomba il punto di svolta capace di trasformare l’Iran in potenza nucleare. «Quel momento dista solo pochi mesi», ha detto la Livni.
Il salto della barricata dei francesi pronti, con Cina e Russia, a favorire nuovi negoziati e rimandare le misure punitive, spiazza però Washington. Nell’impossibilità di varare qualsiasi sanzione la Casa Bianca potrebbe, per non perdere la faccia, accontentarsi, come fanno capire i portavoce, di una «sospensione verificabile dell’arricchimento» e dare il via libera ad un negoziato.
A rilanciare l’idea di nuove trattative prima di procedere sulla strada delle sanzioni contribuisce anche il direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica Mohammed El Baradei.

Aprendo una conferenza dell’Aiea ha parlato della necessità di riavviare il negoziato da «troppo tempo messo da parte» sul nucleare. Teheran non sembra, però, fare passi indietro e ha smentito la notizia circolata recentemente secondo cui avrebbe promesso una sospensione di due mesi dell’arricchimento dell’uranio.

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