Jeanne Moreau: ho voluto essere un’ebrea perseguitata

In "Plus tard tu comprendras" Gitai racconta la Francia che ricostruisce la storia dell’Olocausto

Jeanne Moreau: ho voluto essere un’ebrea perseguitata

Berlino - La voce d’inveterata fumatrice di Jeanne Moreau ammonì rudemente la fatua Isabelle Adjani alla premiazione del Festival di Cannes del 1997, assicurando uno dei rari momenti memorabili di quell’edizione. Al Festival di Berlino, ieri, la Moreau non ha sgridato nessuno. È stata tutta dolce, signorile, anche se la raucedine l'accompagnava come sempre. La vecchia tigre che, per tempra, incuteva rispetto perfino alla Bardot, presentava infatti fuori concorso il suo ultimo film, Plus tard tu comprendras («Dopo capirai»), di Amos Gitai, temutissimo regista da festival: nel senso che attira gli ingenui con film di un’ora e venti, come questo, pesanti come se durassero due ore e quaranta.

L'immagine da maîtresse di certe maisons - che la Moreau coltiva da tempo, scambiandola con quella di decana del cinema francese - ha ceduto dunque a quella della bislacca nonna ebrea, ma più osservante dell’induismo che del giudaismo. «Ho cercato un’empatia col mio personaggio», ha spiegato. E il personaggio coincide un po’ con l’interprete: un’agiata, anziana signora, che ha riempito la casa di oggetti d’antiquariato, ma soprattutto, brocantage. Volendo ribadire l’empatia, la Moreau ha finito con lo strafare e ha aggiunto un paragone: «Per dirla con Stendhal, Madame Bovary c’est moi». Nessuno ha eccepito. Tutti eran certi che intendesse: «Per dirla con Flaubert».

L’epoca di Plus tard - salvo cinque minuti mal girati di ricostruzione d’epoca - non evoca la deportazione, ma la sua rivisitazione quattro decenni dopo da parte di superstiti che non hanno, comprensibilmente, acquisito una visione storica. Si sono invece dati alla memoria. E c’è chi se ne è servito per alimentare la tradizionale guerra civile franco-francese.

Siamo quindi in Plus tard fra il 1986 e il 2000, fra processo al comandante tedesco di Lione, Klaus Barbie, e «ammissione di responsabilità» della Repubblica francese, nella persona di Jacques Chirac, per le deportazioni di ebrei fra il 1942 e il ’44 da parte dello Stato francese, vero nome di ciò che la pubblicistica chiama «regime di Vichy».

Posto davanti alla rimozione o all'ossessione, il personaggio della Moreau aveva risolto il dilemma aderendo alla prima, facendo battezzare il figlio (Hyppolite Girardot) anche se - la guerra era ormai finita - lei avrebbe potuto farlo circoncidere senza rischi. Preferendo per lui l’integrazione (il figlio è ora un alto burocrate di Stato), gli ha nascosto le reali origini. Se ora gliele rivela - di qui il titolo, Plus tard tu comprendras - è perché sente la morte vicina. Così mette in crisi il poveretto, che non sa più se è un francese a parte intera o un inconsapevole marrano.

È enorme la quantità di libri e film usciti in Francia dopo il 1972 del saggio La Francia di Vichy di Robert O. Paxton e il documentario Le chagrin et la pitié («Il dispiacere e la pietà») di Marcel Ophüls. Da trentacinque anni la Francia si processa, proprio come da oltre sessanta lo fa la Germania. E si è percepita questa strana sintonia fra ex nemiche anche in sala ieri.

Classe 1928, la Moreau era abbastanza grande durante l'occupazione tedesca della Francia per aver ricordi personali.

Ieri li ha citati: «Compagni di scuola che distribuivano volantini comunisti, coetanei tenuti a cucire sugli abiti la stella gialla con la parola “juif” (ebreo)». Ma quando quelle miserie erano recenti e lei si faceva un nome con Grisbì di Jacques Becker, regista impostosi proprio sotto Vichy, la Moreau non si poneva il problema.

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