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Il divo a Roma per la quarta pellicola della saga, dal 22 nelle sale: non si sa ancora se sarà vietata ai minori. Aggiunge: «Mi sembrava giusto parlare della guerra in Birmania che va avanti da sessant’anni»

da Berlino

Figlio del romanziere Cecil, Daniel Day Lewis fa riscoprire con There Will Be Blood («Ci sarà sangue») - in uscita in Italia venerdì prossimo come Il petroliere -, ispirato a Oil!, romanzo del non-parente Sinclair Lewis, uscito nel 1927: 500 pagine sul passaggio dall'epopea della frontiera a quella del capitalismo maturo. Scritto e diretto da Paul Thomas Anderson, già vincitore con Magnolia dell'Orso d'oro (2001), Il petroliere riprende parte di Oil!, 150 pagine diventano quasi tre ore di proiezione. Chi non abbia interesse per la mitologia della frontiera, si astenga.
Per collocare Il petroliere come ricostruzione d'epoca (mirabili i costumi di Mark Bridges), si potrebbe vederci il prologo di Chinatown di Roman Polanski; invece, quanto all'ambizione di definire il magnate che, facendosi da sé, ha fatto anche l'America: siamo dalle parti dell'Uomo che non sapeva amare di Edward Dmytrik e del suo prologo, apparso successivamente: Nevada Smith di Henry Hathaway. L'orso d'oro 2008 ha così da ieri - al secondo giorno di proiezioni e al primo grosso film in concorso - un primo serio aspirante: Il petroliere concilierebbe l'esigenza autoriale (sceneggiatore e regista sono la stessa persona) delle giurie con quella spettacolare del pubblico. Questo film senza donne potrebbe avvantaggiarsi della giuria berlinese senza più Sandrine Bonnaire e Susanne Bier. Varrà però contro di lui il principio che ha reso i grossi festival simili al festival di Castrocaro, dove si premiano solo le voci nuove.
All'Hotel Hyatt della Marlene-Dietrich-Platz, dove si svolgono le conferenze stampa della Berlinale, Day Lewis s'è presentato in camicia bianca e nera a fiori rossi, più orecchino, il tutto sovrastato da un cappello nero del modello che portava cinquant'anni fa Frank Sinatra. Anderson, più sobrio, era in maglietta a strisce grigie e blu.
Non poteva mancare e non è mancata la domanda sull'Oscar, al quale Day Lewis è ancora una volta candidato. «Nell'attesa - ha risposto l'attore - sono calmo e nervoso: talora sono calmo e fingo d'esser nervoso; talora sono nervoso e fingo d'esser calmo». Nessuno ha osato chiedere il perché di tali finte.
Non poteva mancare nemmeno la domanda sul suo candidato preferito per la Casa Bianca: «Questa - ha replicato Day Lewis - è affare di mia moglie (figlia di Arthur Miller e regista)». Sulla voce che Day Lewis dà al suo personaggio (e che il pubblico italiano non sentirà), il modello è stato John Huston: «Ho ascoltato a lungo la sua voce, ma anche altre. Cercavo un modello che mi desse il modo di parlare di un'epoca remota, della quale non è rimasta traccia».
Anderson, che è di Los Angeles, ha evitato di intervenire su chi voterà alle elezioni americane, una delle curiosità che tormentano la stampa da festival, qui come a Cannes, a Venezia e a Roma (dopo la Festa di Roma, si voterà e il caso sarà chiuso per qualche anno)... È stato Anderson ad avere l'idea del film, dopo aver acquistato Oil! in una libreria antiquaria di Londra, attratto dall'averne visto in vetrina la copertina rossa. «L'idea del petroliere è piaciuta a me, meno ai finanziatori: ci sono voluti anni per trovarli», ha ammesso. Quanto al titolo, che passa dal nero del petrolio al rosso del sangue, il regista ha detto che in origine doveva intitolarsi It Might Be Blood («Potrebbe essere sangue»), poi si è passati alla formula più minacciosa e perentoria attuale.

Nessuno ha tentato seriamente di ottenere un parere sul petrolio come centro dei valori economici, quindi politici, mondiali. Eppure è evidente che non era di natura geologica l'interesse per l'oro nero. Ma ai festival l'intelligenza, quando c'è, è quasi sempre confinata sullo schermo.

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