Kenzo e Givenchy, gli italiani trionfano a Parigi

«Sinceramente sono un po’ stanco di questo sistema» dice Marras al telefono durante le prove della sfilata Kenzo in passerella ieri pomeriggio a Parigi. Lo stilista entra nel vivo di una questione che il mondo della moda fatica ad affrontare: oggi i sogni devono fare i conti con i bisogni, guardare in faccia alla realtà e dire le cose fuori dai denti significa uscire dalla prigione dei luoghi comuni. «A Milano c’è stata una bellissima energia - sostiene - anche se ridotta a tre giorni e mezzo, la nostra settimana della moda mi è sembrata piena di voglia di fare e di sperimentare: un momento magico in mezzo a tante difficoltà».
Inevitabile a questo punto chiedergli un paragone con la fashion week in corso nella Ville Lumière senza polemiche, proteste e difficoltà. «Non so bene cosa stia succedendo agli altri - risponde - sono sempre chiuso in atelier a lavorare. Di sicuro io stavolta mi gioco la faccia perché con questa sfilata si aprono i festeggiamenti per il quarantennale del marchio che culmineranno con un grande evento il prossimo ottobre». In buona sostanza Marras è andato alle radici di una storia cominciata nel 1970, quando Kenzo Takada, il primo designer giapponese che ha cercato e trovato fortuna nella Ville Lumière, decise di fondare una casa di mode con il suo nome. «Non volevo fare la rilettura di un’epoca, ma cercavo un denominatore comune tra le donne più interessanti degli anni Settanta e quelle di oggi» spiega citando tra le altre Maria Schneider e Marisa Berenson, Jane Shrimpton e Farrah Fawcett, Florinda Bolkan e Angelica Huston. Il solito caleidoscopio di stampe, colori, referenze di luoghi lontani tradotte nell’educato linguaggio della moda francese: tutto quel che ha dato successo a Kenzo in passato, diventa per Marras un potente motore di ricerca sulla contemporaneità se non proprio sul futuro. «È una donna che ha voglia di riprendersi il tempo - conclude - una che sa camminare sul lato selvaggio della vita». Non a caso la colonna sonora della sfilata comincia con l’indimenticabile brano di Lou Reed Walk on the wild side, e continua con altri straordinari pezzi di Cat Stevens, degli America o dei Supertramp. Ma la citazione storica si ferma alla musica, perché i modelli parlano il linguaggio del presente.
«Riccardo Tisci è il creativo che preferisco, l’unico giovane talento che riesce a dare il meglio di sé senza esagerare troppo lo stile con eleganza e modernità» ha detto Pierre Bergè, mentore e socio di Yves Saint Laurent, nel backstage della sfilata di Givenchy. Ci piacerebbe tanto sapere il perché di un simile endorsement: nel mondo della moda queste cose non si dicono mai a caso, soprattutto durante la fashion week più importante dell’anno. Di sicuro Tisci in questo momento ha messo a segno parecchi goal compreso quello importantissimo di riportare il marchio alla redditività. Stavolta il bravo designer di origini pugliesi ha tentato di unire il mondo dello sci con quello delle immersioni subacquee sotto il segno dei classici colori della Bahuaus: nero, rosso e beige usati a blocchi ben distinti tra loro. Il risultato in video ci pare sensazionale soprattutto nel caso degli abiti da sera con le ruches di neoprene.
Il bello di Giambattista Valli sta nel coraggio di assumersi le proprie responsabilità, nel puntare su se stesso credendoci fino in fondo. «La libertà è il più grande lusso che ci si possa concedere» risponde quando gli chiediamo perché ha deciso di produrre da solo la sua linea senza cercare altri licenziatari dopo aver chiuso qualsiasi accordo contrattuale con Mariella Burani Fashion Group. «Non è un momento facile - aggiunge - ma grazie al cielo con la precollezione ho avuto un aumento delle vendite pari al 35% e sul mercato americano il fatturato è cresciuto globalmente del 40%». Vedendo le immagini della collezione per il prossimo inverno si capisce perché il suo stile ha successo: rende belle le donne, stuzzica quel lato un po' perverso e molto cocotte che in ogni caso fa parte della femminilità.


Basterebbe l'idea della giacca di lui buttata sul fragilissimo vestito da sera per rappresentare visivamente questo mood. Ma in realtà c'erano abiti nei tessuti dei cappotti, cappotti che sembravano vestiti, piccoli gilet di pelliccia effetto miniabito di piume: una moda che sa di cipria e letti sfatti.

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