«L’Aids è un pericolo sottovalutato»

È toccato a Roma ospitare il più importante appuntamento internazionale sull’Aids nell’edizione che coincide con i trent’anni dall’identificazione dell’epidemia. Partner per l’Italia dell’International Aids Society, che riunisce la comunità scientifica mondiale che si occupa di Aids, è l’Istituto superiore di sanità (Iss), che dagli inizi del fenomeno è impegnato nella lotta alla malattia. Abbiamo chiesto al presidente dell’Istituto, Enrico Garaci, di sintetizzare i successi ottenuti e i nodi ancora da sciogliere.
Professor Garaci qual è il consuntivo di trent’anni di studi sull’Aids?
«Nella sua brillantissima relazione Anthony Fauci (uno dei maggiori immunologi degli Stati Uniti, ndr) ha ricordato come all’origine dell’epidemia l’aspettativa di vita di un malato di Aids non superava un anno. Oggi con la terapia antiretrovirale combinata la speranza di vita è quasi sovrapponibile a quella di una persona sana. Restano naturalmente problemi correlati all’assunzione quotidiana dei farmaci e ai loro possibili effetti collaterali e a quelli relativi allo sviluppo di resistenze, ma possiamo affermare che la velocità con cui i progressi sono stati compiuti è davvero impressionante e non ha precedenti nella storia delle malattie virali».
Ma i problemi dell’Aids sono anche di natura sociale, tutte le sessioni congressuali sono state aperte dai cosiddetti «attivisti».
«Senz’altro nella storia dell’Hiv è stato, per diverse ragioni, molto forte il coinvolgimento dei malati, che hanno anche dato un contributo fondamentale nella sensibilizzazione al problema e alla lotta contro la stigmatizzazione della malattia. Ma tra i nodi più duri da sciogliere c’è senz’altro la disparità nell’accesso alla terapia tra paesi poveri e ricchi. È paradossale che l’Africa, che da sola sostiene il carico del 70% dell’infezione oggi, non disponga dei farmaci per curarla. Non è solo un sacrosanto imperativo etico e morale, ma è anche uno strumento per fermare la diffusione dell’epidemia».
Lei ha parlato di una situazione non rosea anche in Europa.
«Da troppi anni il numero delle infezioni non scende. In Italia, come nel resto del vecchio continente, a fronte della disponibilità di terapie più avanzate che hanno drasticamente ridotto il numero di malati gravi e di morti, abbiamo ancora migliaia di persone che si infettano ogni anno. È senz’altro uno scenario differente rispetto a quello africano, da noi soffriamo soprattutto una scarsa percezione del rischio».
Abbiamo parlato sempre del controllo. Ma è possibile immaginare un mondo senza Aids?
«L’eradicazione del virus credo sia il sogno di tutti i ricercatori, anche di quelli che non osano esprimerlo. Sappiamo, per esempio, che non è facile mettere a punto un vaccino di elevata efficacia, però non solo è opportuno, ma anche doveroso intraprendere sperimentazioni serie che permettano di valutare prodotti e approcci innovativi».
Sappiamo che l’istituto lavora in questa direzione.
«Sì, i nostri candidati vaccinali stanno già ottenendo buoni risultati, ma percorriamo anche altre strade attraverso protocolli farmacologici innovativi, che permettano di eradicare il virus dai suoi reservoir e di associare la terapia antiretrovirale con approcci di tipo immunitario».
Un impegno a tutto campo.


«Sorvegliamo anche la malattia attraverso un bollettino epidemiologico per fotografare lo stato dell’epidemia nel nostro Paese e per i cittadini abbiamo istituito un telefono verde per informare e sensibilizzare. Lo facciamo da un quarto di secolo. Non è un caso che per la seconda volta l’Istituto è partner istituzionale di un congresso mondiale».

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