L’altra Biennale, tempesta in Laguna

Insieme alla rassegna «ufficiale» il Comune di Venezia promuove una seconda mostra in polemica con i «neofigurativi» del Padiglione Italia. Ma curatori e artisti ribattono: «È un attacco politico»

L’altra Biennale, tempesta in Laguna

Neofigurativi, conservatori, tradizionalisti, decadenti. Contro il Padiglione Italia che si aprirà il 7 giugno alla prossima Biennale d’Arte di Venezia e contro i suoi due curatori - Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli - il tiro è ad alzo zero già da mesi. Ora, avvicinandosi la fatidica scadenza, le acque in Laguna si fanno sempre più agitate. E si annuncia una vera a propria «Secessione» con tanto di contro-mostra, promossa e organizzata dalla Fondazione Musei Civici veneziani (a cui fa capo Ca’ Pesaro, dove avrà luogo la rassegna) con il patrocinio del Comune di Venezia. Promotori e curatori vogliono distinguersi dai «conservatori» del Padiglione Italia ed esporre quelli che considerano i veri artisti italiani contemporanei.

Niente di più legittimo: di mostre e manifestazioni collaterali alla Biennale ne sono annunciate circa duecentocinquanta, una di più non può far male. Se non fosse per la curiosa contraddizione che salta subito agli occhi: i Musei civici veneziani, come indica la loro denominazione, sono un’istituzione cittadina, tanto è vero che ne è vicepresidente il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, il quale risulta essere anche l’ideatore dell’iniziativa «secessionista». Ma per i casi strani della sorte, il sindaco di Venezia è anche, per statuto, vicepresidente della Biennale, di cui un’importante componente è il Padiglione Italia. Dunque la Biennale si muove contro se stessa? E perché no? Considerato che la mostrona costa una bazzecola come nove milioni di euro, perché non spendere anche duecentomila euro (forse più, forse meno perché si è anche raccattato qualche sponsor) per fare la contro-mostrina? E il sindaco Cacciari, si suppone, correrà come un pazzo col motoscafo, facendo aumentare il deprecato moto ondoso, per spostarsi dall’inaugurazione della Biennale all’Arsenale a quella della «Biennalina» di Ca’ Pesaro. È vicepresidente di ambedue o no?

Luca Beatrice, uno dei due curatori nominati dal ministro dei Beni culturali, non si scompone per «questa mostra raffazzonata all’ultimo minuto», tanto è vero che non è neppure inclusa nel programma delle sei mostre dei Musei Civici contemporanee alla Biennale, diffuso la scorsa settimana. «Più che altro - commenta - è la schizofrenia del comune veneziano a colpirmi. Ma il nocciolo della questione è un altro. Noi “passatisti”, gli altri “avanguardia”? No, l’attacco, diciamolo fuori dai denti, è politico. Alla sinistra che fino ad ora ha gestito arte e cultura, non va semplicemente giù che adesso a gestirle siano esponenti di destra».

Ma i «secessionisti» muovono al Padiglione Italia anche altri appunti: ad esempio di avere assegnato ai venti artisti selezionati altrettanti «compitini» per l’esposizione, mentre loro, come ha sottolineato il curatore Milovan Farronato, non hanno chiesto lavori ad hoc. «Forse si sono dimenticati - risponde Luca Beatrice - che per statuto la Biennale deve esporre opere inedite, a meno che si tratti di un omaggio a un artista deceduto. E comunque, vengano a vederle. Potrebbero avere delle sorprese. Io no, peccato. I lavori esposti li ho già visti un po’ dovunque».

Anche il secondo curatore, Beatrice Buscaroli, si stupisce dei giudizi dati in anticipo: «Una mostra “contro” la nostra? Ma contro cosa, se non hanno visto il Padiglione? Noi vetusti “figurativi”? Ma se ci sono i lavori di videoartisti come i Masbedo, le installazioni di Elisa Sighicelli e di Silvio Wolf? In realtà l’obiettivo non sono gli artisti prescelti, siamo noi, i curatori “nominati dal ministro Bondi manu militari”, come è stato detto. Be’, qualcuno si dimentica che le nomine della Biennale sono da sempre politiche, come dimostra l’attuale consiglio d’amministrazione, nominato dal precedente governo e che il ministro dei Beni culturali, in segno di stima nei suoi confronti a cominciare dal presidente Paolo Baratta, non ha modificato. Ma il ministro ha anche la facoltà di esprimere i nomi dei curatori, che poi vengono ratificati dai responsabili della direzione per l’arte contemporanea. Direzione che a sua volta è nominata dal ministro. Ecco la manu militari».

La contro-Biennale non innervosisce comunque gli artisti chiamati al Padiglione Italia. «Niente di nuovo - commenta Roberto Floreani, pittore informale -, tutto già visto. Una sorta di Salon des refusés, insomma quelli rimasti fuori. Da sempre gli esclusi si arrabbiano, è normale. Esiste un delizioso libretto che porta questo titolo: Antibiennale. La requisitoria di Fortunato Depero. È del 1955. Mi pare buffo però che si facciano le contro-mostre polemiche appoggiandosi comodamente ai tutori pubblici. Mi fanno venire in mente David Burljuk, l’artista che Majakowskij chiamava “il rivoluzionario in guanti di daino”. Comunque, l’idea del sindaco che promuove due mostre l’una contro l’altra armate, mi sembra proprio divertente, Futurista, direi. E considerando che la mostra “Collaudi” del Padiglione Italia è un omaggio a Marinetti...».

Anche Marco Lodola, l’artista delle coloratissime sculture al neon, non si scompone: «Gli esclusi cercano sempre di esserci comunque. Facendo un po’ di chiasso fuori dai cancelli. Le strane posizioni assunte da Cacciari? Sarà il caldo. Sempre meglio polemizzare con la Biennale che cementare la Laguna, come sta facendo».


Ma alla fin fine, dove si trovano gli artisti contemporanei? All’Arsenale o a Ca’ Pesaro? «Lo deciderà il pubblico - è la salomonica risposta di Floreani - ma ricordiamoci che dopo cento e passa anni non c’è nulla di più tradizionale dell’avanguardia».

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