L’analisi Il cinema da specchio critico a merce innocua

Il tappeto rosso del Festival di Cannes sta per srotolarsi, i film stanno per susseguirsi, alternandosi a conferenze-stampa e mondanità: lo spettacolo nello spettacolo, insomma. Ma, al di là del people, ci sono ancora attori e autori nel vero senso del termine? In un mondo che ridonda d’immagini, quelle cinematografiche sono ancora specifiche? E in fondo che cos’è il cinema?
Cinema significa immagini in movimento. Dunque il cinema si rivolge all’occhio, non all’orecchio; è dimostrazione, non solo spettacolo. Insomma, il film sonoro è stato un progresso tecnico rispetto a quello muto, non aggiungendo nulla all’essenza del cinema. Anzi, è col muto che il cinema ha dato il meglio: offre all’occhio immagini in movimento, dando loro un senso, ordinandole in un’opera. Un film solo di dialoghi è più teatro filmato che cinema.
Ma le immagini in movimento non sono né pure immagini, né puro movimento. Il cinema offre la realtà solo attraverso l’artificio d’una scrittura e di uno stile. Il cinema non è mai la realtà, ma la rappresenta con immagini. E la scrittura del cinema implica una scelta: chi mostra un’immagine, non ne mostra un’altra. Così i grandi film hanno potuto avere un ruolo formatore.
Naturalmente ci sono ancora buoni film, talora capolavori, ma l’epoca del cinema è passata. Innanzitutto perché ormai esso può essere consumato a casa, dunque non è più luogo d’incontro, né vettore sociale. L’irruzione dell’immagine in movimento nello spazio sociale aveva reso il cinema la grande arte popolare, democratica e conviviale della prima parte del XX secolo. Arte collettiva, esso aveva un valore d’uso allora indissociabile da quello di scambio. Ma, quando non è più visto in comune da spettatori usciti di casa per vederlo, il cinema cambia natura. Un film sul telefonino non è più un film.
Una volta i critici si dedicavano a trasmettere allo spettatore strumenti d’analisi o schemi di comprensione. Per lo più vi hanno da tempo rinunciato, mettendosi a rimorchio di chi guarda un film come un telefilm, un documentario, una commedia, un varietà. Da quando la specificità della sua scrittura non è più percepita, il cinema s’è ridotto a immagini perdute nel fiotto d’immagini dei media.
Per André Malraux il cinema è sempre stato un’arte e un’industria. Fra questi due poli, rappresentati dal regista e dal produttore, c’è stata subito tensione, oggi quasi sempre risolta a vantaggio del secondo. Il film non è più guardato come l’opera d’arte che dovrebbe essere, ma come la merce che è diventato.
Martin Scorsese ha constatato che «la proiezione in sala è ormai solo un evento minore nella vita di un film». Mentre i bilanci dei film crescono, gli spettatori calano e l’essenziale degli incassi viene dall’homevideo e dalle tv. Sempre più a decidere il contenuto di un film sono gli inserzionisti.
Dalla Nouvelle Vague degli anni Sessanta, le cui innovazioni stilistiche non possono far dimenticare come essa tendesse a ridurre il cinema alla morale dello sguardo, il mondo del cinema va alla deriva. Al moralismo è seguito un cinismo compiacente, che lusinga quanto di più basso ci sia nello spettatore, ridotto a guardone narcisista sempre più facile da lusingare, più difficile da soddisfare.
Sotto l’influenza della tecnica (effetti speciali), dello spot e degli stereotipi da fumetto, la maggior parte dei film si rivolge a spettatori, per lo più giovani, che costruiscono la loro esistenza come fanno zapping col telecomando. Personaggi senza spessore, situazioni scontate, discorsi piatti, banalità alla moda, sceneggiature senza nerbo.
Facile dire che a un film tocca solo divertire, infatti il cinema non ha mai smesso d’essere anche svago. Andrebbe detto piuttosto che un film mira soprattutto a soddisfare un desiderio immediato. Ora il film può rasserenare lo spettatore solo con la completezza dell'intera opera. Perciò - in Rohmer, Bergman, Lubitsch e Fritz Lang - esso si sforzava di dilazionare lo sfogo del desiderio, mentre il Kitsch hollywoodiano va oltre il desiderio, per soddisfarlo all'eccesso e all’istante, fra rilancio e dismisura. La didattica del cinema, che era iniziatica (dell’ordine della catarsi), diventa regressiva indirizzandosi allo spettatore che non sa più pensare, volendo tutto e subito. Triste unione di idiozia e consumo.
Volgare o intellettuale, grassamente «popolare» o pretenziosamente «elitario», il cinema ha essenzialmente un ruolo di legittimazione, compiacente e osceno, dell’ideologia dominante.

Accumula provocazioni a iosa, ma non disturba, non allarma più: è consono ai valori del tempo e vuole solo perpetuarli. Il cinema è mai stato capace di sovvertire il disordine costituito? Certo ora è fondamentalmente allineato e ben-pensante.
(Traduzione di )

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