L’Andreotti privato diventa spettacolo

Curiale e in apparenza invertebrato, specie negli anni della decadenza, il potere democristiano è durato mezzo secolo, durante il quale l'Italia, che aveva perso la guerra, vinceva la pace. Dettaglio non trascurabile. È infatti dall'alto di una democrazia matura, tale anche grazie alla Dc, che Il Divo di Paolo Sorrentino compendia l'ultimo decennio dc nella figura di Giulio Andreotti (Toni Servillo), alle prese con lo sfaldamento di una lunga egomonia e con le accuse, dimostratesi poi tutte infondate, di vari, gravissimi reati.
Per le leggi degli uomini, dunque, Andreotti - oggetto di una persecuzione politica, giornalistica e giudiziaria - rimane uno dei padri della patria repubblicana. Ma ciò non lo mette al riparo dallo sguardo beffardo di Sorrentino. Però, per fortuna, questo non è un film-invettiva, alla maniera di Giuseppe Ferrara o di Paolo Benvenuti, quindi Il Divo non lo accusa di ulteriori reati con toni da inquisitore; si limita a tentare di coglierne il carattere e di farne spettacolo, accentuandone i modi più preteschi di quelli dei preti, a echeggiarne arguzie e realismo. Non lo rende diabolico, come invece Nanni Moretti fece con Berlusconi nel Caimano, altro film italiano passato per il Festival di Cannes, ma senza premi, a differenza del Divo.
Trecentomila italiani votavano Andreotti, trovando in lui qualcuno che li conosceva quasi uno per uno, che li guardava negli occhi e non dal video.

Per discutibili che siano stati, quegli Arcana Imperii - buffi, squallidi, episodicamente letali - hanno retto alla prova. Ora se ne può sorridere con distacco e talora, silenziosamente, rimpiangerli.

IL DIVO di Paolo Sorrentino (Italia, 2008), con Toni Servillo, Anna Bonaiuto. 110 minuti

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