L’arte che non va a dormire

L’arte che non va a dormire

Una frase rivelatrice del sindaco di Roma: «La città cresce, l’indice è nell’attenzione dei cittadini per i musei e per le mostre d’arte. Con la mostra di Modigliani si sono finalmente riviste le code all’ingresso del Vittoriano». Sono convinto che l’osservazione vada condivisa, e non perché mi muovo in questo ambito da tanti anni ho pensato a un «partito della bellezza», il cui programma vedo sempre di più apprezzato anche da chi appariva più tetragono e distante fino all’ironia. Tra i diritti civili primari, c’è anche il diritto alla bellezza. E non posso negare la sorpresa nell’ascoltare le considerazioni di Pasquale Cascella, in campagna elettorale con Violante, ancora trascinato da una visione dominata dallo schema buoni-cattivi, mafia-antimafia, che mi dice: «Avevi ragione tu. Nel programma di qualunque partito, di chiunque vada al governo il bello, in quest’isola bellissima e continuamente violata, dovrebbe essere al primo posto. Abbiamo visto centri storici, palazzi, chiese di imponente bellezza e, poco distante, gli orrori più impensabili della speculazione edilizia e delle perversioni architettoniche».
Certo la mafia ha trovato facili complicità in architetti e costruttori che hanno sconvolto l’immagine dell’Italia negli ultimi cinquant’anni. Ed è evidente che nessuno che abbia governato o amministrato, ha messo al primo punto la bellezza. Ma mentre essa appare un’esigenza dei cittadini che sempre più la ricercano nelle isole felici delle mostre d’arte, non faremo un passo avanti e non andremo da nessuna parte finché l’amministrazione dei musei è lasciata nelle mani di funzionari incapaci e senza passione. L’esperienza dei miei ultimi due giorni, se da un lato conferma le riflessioni di Veltroni sulle code alle mostre come segnale di un desiderio di bellezza, dall’altro lato fa misurare la differenza tra chi persegue quest’obiettivo e chi lo ostacola. Nella notte di sabato a Brescia i musei pubblici comunali erano chiusi, mentre la città esultava per la festa grande dell’apertura del complesso di Santa Giulia con le mostre di Gauguin e Van Gogh, di Millet e di De Pisis. Code ininterrotte e voracità di vedere, per me che ho sempre auspicato e perseguito l’apertura notturna dei musei, almeno fino alle 6 del mattino, quando io mi sono allontanato da quella sorprendente testimonianza di vitalità e di passione. Come è stato possibile? Marco Goldin ha realizzato ciò che io ho tante volte desiderato e tradotto in blitz notturni guardati come segno di prepotenza e di necessità di corrispondere alla richiesta di curatori e organizzatori. Stupiva, del mio comportamento, l’eccezionalità delle incursioni rispetto alle abitudini. E appariva eccezionale, o stravagante, ciò che sarebbe dovuto essere ovvio.
Ma perché i cinema e i teatri, e cioè il mondo dello spettacolo, hanno la loro vita fino a tarda serata? Perché i giovani si raccolgono e si ritrovano nei locali notturni e nelle discoteche? Perché non vi sono altre e più alte offerte. Quando esse sono concesse, ecco il caso di Brescia. Città chiusa, che diventa città aperta e città del desiderio. E le sale delle mostre sono animate e agitate da sguardi curiosi per la gran parte di giovani. Perché questo non accade a Brera, nella città più moderna d’Italia? Perché non accade a Venezia? Perché non accade a Bologna? Occorre aspettare che lo spirito d’impresa di un bravissimo e intelligente organizzatore ottenga ciò che consente di trovare altri spazi oltre a quelli dove menti ottenebrate vengono ulteriormente oscurate dalla musica selvaggia e, talvolta, dalla droga? I giovani a Brescia erano lucidi e attenti e godevano in silenzio davanti alle fughe di Gauguin e alle estasi di Van Gogh. Avrei voluto vedere quelli che criticano mostre come queste, lodando i modelli di Londra e di Parigi; e che qui invece sono costretti a riconoscere lo stesso spirito e la stessa curiosità che muovono le folle verso quelle serie e internazionali. Lo stesso accade oggi a Brescia.
A Milano non è stato possibile, con Caravaggio, per la miopia dei funzionari che avevano urgenza di far rientrare nei musei di Stato i dipinti magari per avviarli verso mostre all’estero, inutili come il confronto Caravaggio-Rembrandt. Così ai milanesi non è stato concesso il prolungamento neppure di un giorno e tanto meno di una notte. Non si capisce perché. O meglio, si capisce quando parte della gestione di una mostra resta in mani pubbliche. E questo accade anche a Brescia, se ciò che non è affidato a un’organizzazione autonoma resta irrimediabilmente chiuso come la mostra dei dipinti restaurati nella Pinacoteca Tosio Martinengo o quella del bravissimo Franco Dugo, e le altre di Sarnari e Olivieri nelle sale del Castello. Al confronto il pubblico è perdente. Eppure Goldin ha potuto. Così come potrà Alessandro Nicosia, a Roma, con Modigliani. Ci sono uomini vivi che lavorano perché l’arte sia un bene di tutti, e funzionari morti che la sequestrano come se fosse cosa loro, a cui nulla interessa. È stata istruttiva la notte di Brescia. Interrotta da poche ore di sonno perché in un luogo poco lontano, a Collecchio, un bravo assessore, Maria Teresa Galli, combattendo anche contro l’ora legale, aveva organizzato un incontro sul Compianto di Cristo di Nicolò Dell’Arca, tradotto nelle belle immagini di Andrea Samaritani, chiedendomi di commentarle. Di domenica e in quell’ora ingrata pensavo che saremmo stati in pochi e invece, come se lo spirito della notte precedente aleggiasse anche lì, la chiesa di San Prospero era piena, l’attesa e la curiosità erano tanto vive da impormi di essere più vivace e sveglio di quello che la notte insonne mi avrebbe consentito. E la festa, la festa mobile continuava per la forza di uomini di buona volontà.
Sullo sfondo, turpe, pensavo allo spettacolo di due settimane fa con corso Buenos Aires messo a ferro e fuoco. Sempre in Italia, a poche decine di chilometri.

Ma quei giovani che tiravano sassi e molotov erano stati da qualcuno indirizzati a trovare la loro anima nelle sale dei musei? Qualcuno li aveva indirizzati a questo? La strada per restituire la civiltà agli italiani è lunga, ma ci vogliono uomini che sappiano indicarla.

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