L’arte tenuta in cantina

Se un museo americano o un museo inglese, se il Louvre o il museo di Berlino intendono realizzare una mostra, non c’è dubbio che essa sarà la più completa, la più ricca che si possa desiderare. Tiziano a Londra o, adesso, il Beato Angelico a New York sono mostre di grandi artisti italiani che dobbiamo uscire d’Italia per vedere con stupore e ammirazione. Se si decide di realizzare una grande mostra del Caravaggio e del suo seguito a Milano, con un comitato nazionale insediato dal ministero, nella sede naturale delle mostre della grande capitale lombarda, che probabilmente è anche il luogo di nascita di Caravaggio, si incontrano mille difficoltà, ci si espone alle critiche perché si espongono solo alcuni, peraltro importantissimi, capolavori (e comunque in una mostra non monografica ma a più voci e a più volti) e si può ottenere perfino il rifiuto, nonostante le ripetute assicurazioni del ministro per i Beni culturali, del dipinto di Caravaggio «La cena in Emmaus», che sta nella Pinacoteca nazionale di Brera, a un quarto d’ora a piedi da Palazzo Reale. Ci si potrebbe chiedere perché la dignità nazionale e l’orgoglio di poter realizzare buone iniziative debbano trovare ostacoli in piccoli funzionari che lavorano contro lo Stato e contro i cittadini, rendendo l’immagine di un’Italia meschina, inadeguata, attraversata da invidie e da insidie. La mostra di Caravaggio e l’Europa a Milano è bellissima, ma non solo dispiacciono le critiche, anche infondate, ma amareggia l’euforia con cui si magnificano le grandi imprese compiute senza difficoltà e veti come quella dell’Angelico in America. Conclusione: non sarebbe possibile realizzare una mostra come quella in Italia.
Se ne deve rendere conto in queste ore con qualche amarezza Francesco Merloni che, pur non senza l’Alto patronato del presidente della Repubblica, si è determinato, con soldi propri, a promuovere e realizzare la grande mostra di un maestro non meno grande del Beato Angelico, Gentile da Fabriano, che corona il cosiddetto gotico internazionale e apre al Rinascimento. Così che la mostra annunciata per il 21 aprile a Fabriano, nell’Ospedale di Santa Maria del Buon Gesù, intende illustrare «Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento». L’intenzione di Merloni è portare «una grande mostra internazionale in una piccola capitale dell’arte nel cuore delle Marche». La mostra così si annuncia anche più importante del Beato Angelico perché, a fianco dei capolavori di Gentile, saranno esposte opere di Masolino, Masaccio, Tiberti, Pisanello, Jacobello del Fiore, più di cento opere e poco distanti da luoghi bellissimi dove si possono ammirare gli affreschi dei maestri di Camerino, di Jacopo e Lorenzo Salimbeni di San Severino e vedere tavole di Lorenzo D’Alessandro, Ludovico Urbani, Carlo Crivelli e tutti i maestri di quel gotico nelle Marche per il quale io alcuni anni fa stabilii un metodo (ancora non si parlava di mostra «diffusa», ma ne era l’archetipo) del gotico nelle Marche con mostre a Urbino, San Severino, Camerino; e la conseguente pubblicazione di un atlante del gotico nelle Marche curato da Stefano Papetti Liana Lippi. Di quell’idea la mostra di Gentile da Fabriano è il coronamento, ma non nasconderò la mia delusione per essere stato del tutto ignorato, non voglio dire escluso, e non voglio lamentarmi, nel pur ricco comitato nel quale (a fianco di esperti gentiliani di fama mondiale) sono stati accolti perfetti sconosciuti e anche modesti studiosi. Naturalmente è un comitato «scientifico», come si usa dire oggi, con ben venti componenti. Siccome alcuni di loro hanno collaborato con me e conoscono perfettamente i miei meriti non «scientifici» ma di promotore, sostenitore e, in questo caso, anche ideatore del grande progetto del gotico nelle Marche sostenuto dalla Regione, appare strano che nessuno mi abbia evocato. A partire da Francesco Merloni che, all’inizio dell’impresa, mi chiese suggerimenti e consigli. L’esclusione non è quindi distrazione ma intenzione. Intanto a San Severino Marche si prepara la grande mostra su un altro maestro dimenticato, Bernardino di Mariotto, motore di interessanti fenomeni del Rinascimento fra Umbria e Marche. Anche in questo caso si intendeva escludere dall’impresa la valorosa sovraintendente Diana Lippi, che aveva lavorato con me, ma credo che il sindaco Fabio Eusebi abbia riparato a questa ingiustizia.
Non sono qua, però, a recriminare, ma a riprendere il ragionamento sulla indecente avarizia nei prestiti delle pubbliche istituzioni italiane. E a Francesco Merloni non dirò, compiaciuto: «Chi la fa l’aspetti», ma darò invece tutto il mio sostegno, come spero, se non questo, il prossimo governo, e se non Buttiglione, il prossimo ministro perché non sia consentito che, ancora una volta, Brera neghi il prestito del capolavoro di Gentile da Fabriano rubato da Napoleone nelle Marche «Il Polittico di Valle Romita». So di riunioni al ministero con il furente sottosegretario Antonio Martusciello che, constatando la bontà dell’iniziativa che rinnalza davanti al mondo Gentile da Fabriano in una delle più belle città d’Italia, sua patria, con gloria per lo Stato e senza una lira di spesa, per l’impegno di un mecenate sensibile e illuminato (anche se distratto da me) come Francesco Merloni, si trova di fronte la protervia e la visione pseudoconservativa della direttrice del museo e della direttrice dell’Istituto centrale del restauro, e cerca di spiegare l’interesse nazionale di una mostra la cui completezza chiede l’impegno di tutti. E si sente rispondere, fingendo sulle condizioni di conservazione dell’opera, che essa non può essere trasportata tutta, ma soltanto alcuni scomparti. A Napoleone fu consentito rubarla, a Merloni non è consentito riportarla a casa, sia pur temporaneamente. Ed è vero, oscuramente, che c’è nella resistenza delle due funzionarie una nemesi contro quella legge che porta il nome del ministro Merloni per la quale i restauri in Italia hanno patito la concorrenza degli incompetenti nella gara al ribasso nelle opere pubbliche, comprese quelle di restauro. La peggior legge, contro i beni culturali, ispirata dalla compiacenza al dipietrismo, che si potesse concepire. Ma oggi Merloni ha ragione e mi sembra giusto condividere con lui la rabbia per l’atteggiamento disfattista di chi vuol togliere all’Italia anche il primato nell’arte e nelle iniziative ad essa connesse come le grandi mostre. Spero che lo Stato riesca a prevalere sui suoi miopi funzionari e che il «Polittico di Valle Romita» possa arrivare alla grande mostra di Fabriano. Sarebbe un precedente importante perché il 2006 chiuderà con le celebrazioni per Andrea Mantegna a Padova, Verona e Mantova, per cui si sposterà anche il mirabile «Trittico di San Zeno».


Sarebbe triste che Brera mancasse ancora una volta all’appello, come ha fatto con Caravaggio e come tenta di fare con Gentile, non concedendo le opere del grande maestro padovano. Già me lo aspetto. Ma spero che il nuovo governo abbia quella coscienza dello Stato che non cede ai ricatti di una falsa cultura della conservazione.

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