L’Asl vuole indietro 30 milioni: "Quei rimborsi sono illegittimi"

Bloccati gli indennizzi regionali per le visite private a San Raffaele e Monzino. Il Pirellone chiede di avere i soldi già versati, ma il Tar lo boccia: "Troppo tardi"

L’Asl vuole indietro 30 milioni: "Quei rimborsi sono illegittimi"

In sintesi: chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Milioni di euro. Soldi pubblici. Prima spesi, e ora chiesti indietro. Inutilmente. È un piccolo - ma significativo - capitolo del bilancio per la sanità della Regione. Nel mare di finanziamenti riversati agli ospedali accreditati, c’è anche quello relativo ai rimborsi agli Istituti di ricerca (Ircss) per le visite private cosiddette intra moenia, ossia erogate dai medici al di fuori del normale orario di lavoro, utilizzando le strutture della clinica a fronte del pagamento di una tariffa da parte del paziente e - finora - con copertura fino al 70% garantita dalla Regione. Dei nove Ircss lombardi - Multimedica, Monzino, Ieo, San Raffele, Don Gnocchi, Auxologico, Galeazzi, Humanitas, San Donato - solo due hanno dato una lettura estensiva della norma, approfittando così della «generosità» del Pirellone. Il San Raffaele e il centro cardiologico Monzino, infatti, hanno ottenuto circa 25-30 milioni di euro in una decina d’anni. L’Asl ha detto basta. Ma non solo ha annunciato che non verserà più la quota di rimborso, ma ha anche chiesto alle due cliniche di restituire quanto versato nel tempo. Com’è andata a finire? Male, per le casse dell’amministrazione. Perché il Tar - pur respingendo il ricorso della Fondazione Monte Tabor e del Monzino contro la decisione di non rimborsare più in futuro le visite private - spiega che quei finanziamenti erano «non dovuti», ma che è impossibile pretendere che vengano restituiti. «Troppo tardi». Migliaia di prestazioni sanitarie - a partire dal 2000 - caricate «illegittimamente» sulle spalle dei contribuenti.
«È impensabile - scrivono infatti i giudici di via Corridoni - che l’Istituto creditore (cioè la Fondazione Monte Tabor e il Monzino, ndr), il quale in assoluta buona fede, indotta dalla condotta della stessa Asl e della regione Lombardia, ha ricevuto il pagamento, debba ora farsi carico di ricercare nominativamente la miriade di singoli beneficiari (ovvero i pazienti visitati, ndr) e attivarsi a sua volta presso di loro per il recupero del credito, ammesso che ciò sia ancora possibile per le prestazioni rese a distanza di molto tempo». In effetti, la richiesta dell’Asl era difficilemte praticabile. Perché un conto è decidere di chiudere con la pratica dei rimborsi (come è stato fatto con una nota del luglio 2009), altra cosa è pretendere di avere indietro quanto versato fino alla sentenza del tribunale amministrativo, chiedendo ai due ospedali di contattare le persone visitate durante gli anni passati per farsi versare la quota a suo tempo pagata dalla Regione per la prestazione sanitaria.
«È pacifico - si legge ancora nella sentenza depositata solo pochi giorni fa - che i fondi siano andati a coprire parte delle prestazioni rese all’utenza che, in difetto, avrebbero dovuto rimanere in carico del paziente che le ha richieste». Tuttavia, il tribunale ha dichiarato «irripetibili» i contributi già versati. In pratica, l’Asl e la Regione non possono chiederli indietro.
Non manca una bacchettata al Pirellone, le cui circolari in materia avevano equiparato gli istituti di ricerca privati agli ospedali pubblici. «La ratio della disciplina relativa alla professione intramuraria dei medici dipendenti di aziende pubbliche è quella di impedire che le migliori risorse di cui dispone il Sistema sanitario nazionale possano abbandonare il pubblico impiego o distrarre tempo ed energia a favore di cliniche private. Sicché anche il finanziamento si inquadra in tale politica di fidelizzazione che non avrebbe senso riferire anche alle strutture private, le quali devono reprerire autonomamente i fondi per coprire i costi di gestione e rendere competitiva la propria attività».

Detto questo, «a nulla rilevano le circolari regionali menzionate nel ricorso al fine di dimostrare che la regione Lombardia, in passato, ha inteso estendere il contributo anche ad enti privati». Motivo? «Le circolari non possono essere fonti di diritti e obblighi, soprattutto quando in gioco vi sia l’impiego di denaro pubblico».

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