L’avvocato Tonino? Tradì il suo cliente pure per la Cassazione

Gian Marco Chiocci

Condannato dal consiglio nazionale forense e poi riconfermato come «colpevole» dalla Cassazione, per dirla in termini giuridici. Cornuto e poi mazziato, per dirla in dipietrese. La massima corte ha rigettato il ricorso di Tonino e ha dunque sottoscritto la decisione dell’Ordine degli avvocati sulla condotta dell’«avvocato» Antonio Di Pietro, che non appena si tolse la toga per abbracciare la professione legale, si rese responsabile di una grave violazione del codice deontologico degli avvocati, degna di una sanzione e di una sospensione dall’albo per tre mesi. Il fatto è noto, e non particolarmente edificante. Riguarda un’antica amicizia, tradita con sorprendente freddezza da Di Pietro, allora legale dell’assistito, un amico di infanzia, Pasqualino Cianci, la cui moglie era stata trovata ammazzata. Di Pietro si incaricò di prenderne le parti, cercò di capire assumendo informazioni, che però avrebbe usato subito dopo come parte civile dell’accusa contro l’ex amico. Un comportamento incompatibile con le regole etiche della professione forense. Per questo Di Pietro è stato sanzionato dall’Ordine, decisione che adesso la Cassazione a sezioni unite ha pienamente confermato, rigettando il ricorso di Di Pietro. Il leader dell’Idv aveva sollevato, contro il giudizio del consiglio forense, l’obiezione di «difetto di motivazione». In altri termini Tonino, tramite il suo legale di fiducia Sergio Scicchitano, obiettava che la sentenza non contenesse un’adeguata motivazione. Ma l’obiezione è stata bocciata dalla Cassazione. «Non solo non sussiste detto difetto motivazionale, ma il Consiglio Nazionale Forense ha dato ampiamente conto della propria decisione sulla base di una compiuta valutazione delle risultanze di giudizio, non omettendo affatto l’esame del decisivo punto avente ad oggetto la consapevolezza del D.P. (Di Pietro, ndr) del sussistente conflitto di interessi tra il C. (Cianci, ndr) e gli altri familiari, poi costituitisi parte civile». Insomma, secondo i magistrati di Cassazione, l’organo di vigilanza dell’Ordine forense ha motivato a sufficienza la decisione che ha portato alla sospensione dell’avvocato Antonio Di Pietro. «È evidente come il Consiglio nazionale - si legge nella sentenza della Cassazione - abbia tratto da un attento esame degli elementi di causa il convincimento della consapevolezza del Di Pietro rispetto a detto conflitto, per poi ritenere sussistente la violazione delle norme del codice deontologico degli avvocati, con particolare riferimento all’art. 51, che vieta all’avvocato di assumere un mandato contro un proprio precedente assistito, tanto più quando il nuovo incarico sia inerente al medesimo procedimento nel quale il difensore abbia assistito un’altra parte in posizione di evidente conflitto».
La scorrettezza di Di Pietro risale al 2002. L’avvocato Tonino, una volta saputo della disgrazia capitata a casa dell’amico, si precipita a Montenero per prendere la difesa di Pasqualino e dei due figli. «Sono qui perché mi ha chiamato tua figlia». Non era vero. Di Pietro lo porta dall’ospedale a casa sua dove lo ospita per diversi giorni, «assumendo una serie di notizie - si legge nella sentenza - sui suoi (di Cianci, ndr) rapporti familiari e sulla situazione economica della famiglia». Informazioni utili alla difesa, ma utili certamente anche alla accusa. Ma chi avrebbe pensato che Tonino, l’amico Tonino, avrebbe cambiato repentinamente campo? Un segnale Cianci l’aveva avuto quando a brutto muso chiese a Di Pietro se era stato lui ad aver chiamato a casa una troupe televisiva. In risposta ottenne uno spintone. Se poi scoperto che nella veste di difensore di Cianci, Di Pietro aveva svolto atti d’indagine contrari al suo assistito. E se anche fosse accaduto che Tonino, a un certo punto, si fosse convinto della debolezza della posizione dell’amico d’infanzia, ciò non giustifica quel che ha combinato poi arrivando a sedere fra i banchi delle parti civili, accanto alla pubblica accusa. Avrebbe potuto dirgli che non se la sentiva di continuare, oppure accampare una scusa qualsiasi e rinunciare all’incarico. Non gli ha detto niente. Né come amico di una vita, né come avvocato. L’ha tradito due volte mollandolo al suo destino giudiziario, che negli anni s’è cristallizzato in un processo con poche prove, molti buchi neri e una condanna a oltre vent’anni di galera per omicidio volontario e simulazione di reato.

Cianci s’è dichiarato innocente sin dal primo giorno, e i figli sono stati sempre dalla sua parte anche quando Antonio Di Pietro, con una lettera imbarazzatissima, abbozzò i motivi della sua scelta: «Carissimi, per come si sono messe le cose, ho il dovere di farmi da parte per consentire a voi di stare in maniera migliore vicini a vostro padre». Roba da brividi, da avvocato del diavolo.

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