L’ERRORE MASSIMO DELLA QUERCIA

La scheda bianca votata dall'Unione ha dato il segno alla prima votazione dei «grandi elettori». È stata presentata come un messaggio inviato alla Casa delle libertà, come un passaggio politico nell'attesa di un accordo bipartisan sul nome di Giorgio Napolitano. E in larga misura lo è. Però può essere vista anche in un'altra ottica, quella della preoccupazione di non bruciare la candidatura del senatore a vita, di non esporlo ad una inutile conta, di considerarlo un vero concorrente e quindi di tutelarlo per i prossimi scrutini. Il che, in altre parole, significa il tramonto dell'ipotesi di far salire Massimo D'Alema al Colle, ancora evocata da Luciano Violante, significa che esiste nel centrosinistra la consapevolezza del rischio della prova di forza centrata sulla figura del presidente ds.
Da giorni, la Quercia sta scaricando le sue tensioni interne sugli assetti istituzionali e sta provocando fibrillazioni nella maggioranza parlamentare, fin dall'inizio della sua difficile navigazione. Ha pregiudicato la ricerca di una soluzione consensuale. Ha proclamato, attraverso Fassino, «la fine della guerra», ma non ha compiuto l'unico vero gesto che avrebbe dovuto sancirla, cioè un'apertura sostanziale alla Casa delle libertà. Ha mostrato un'idea proprietaria della politica, del tutto ingiustificata alla luce dei risultati elettorali. Ora è rimasta impigliata nelle sue tattiche e il suo uomo-simbolo sembra finito in fuorigioco. Il candidato è diventato un suo leader storico, la cui biografia è sottolineata dal riformismo e dall'anti-massimalismo. Un candidato talmente prezioso, che l'Unione ha preferito non esporre, anche per tutelare i propri complicati equilibri interni e per evitare che questo passaggio si trasformi in un inizio di crisi.
La difficoltà resta comunque la parola-chiave dell'elezione del successore di Ciampi. Ed è la difficoltà di partenza, anche se il cono d'ombra in cui è finita l'ambizione dei vertici ds di portare al Quirinale D'Alema indica un passo in avanti. La difficoltà di partenza consiste, va ricordato, nel riconoscimento, a cui la Casa delle libertà ha diritto, della divisione in due dell'Italia, del suo elettorato, della sua opinione pubblica e delle sue rappresentanze. Qui è necessaria la garanzia, cioè la coordinata indispensabile non solo per il mondo politico, ma per l'intera società. Tutto il resto viene dopo: le mosse, le mossette, le tattiche, i calcoli sulla stabilità del governo, le visioni sul futuro del sistema bipolare. La colpa della Quercia è di aver creato una situazione di stallo, a cui una parte dei suoi alleati cerca di porre rimedio e che il centrodestra, con i tempi e gli strumenti che ha, cioè le due votazioni di oggi, tenta di superare uscendo dalla stretta: quella tra l'essere ridotto al ruolo di semplice «portatore di voti» a sostegno di una scelta presa da altri e, all'opposto, il giocare dall'indomani, dopo la quarta votazione ed un'eventuale elezione unilaterale del presidente da parte dell'Unione, la carta della denuncia della «dittatura della maggioranza» e della mancanza di garanzie.
La scommessa di queste ore sta qui. Sta nel margine strettissimo per dare un significato compiuto all'elezione con i mitici due terzi dei voti del nuovo capo dello Stato. Sta nel senso di un possibile accordo politico su una persona. In discussione è in primo luogo Giorgio Napolitano.

Restano sullo sfondo gli altri quattro nomi della rosa, fra i quali non c'è più quello di D'Alema che è stato il simbolo di una prova di forza fallita grazie non ad un veto, ma soprattutto alla prima battaglia politica in cui la Casa delle libertà ha saputo spendere i voti della metà dell'Italia che rappresenta.

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