L’espressionismo volante dell’ingegner Viola

Kunsthistorisches Museum, Vienna: ma guarda un po’ dove sono andati a finire i quadri di Franco Viola (paesaggi quasi astratti di terra, cielo e mare con i colori contrastati del litorale pontino), ingegnere aerospaziale e pittore per passione fino al punto d’essere oggi assimilato al tremante misticismo estetico di Mark Rothko o al rigoroso minimalismo di un Barnett Newman. Ai pionieri americani dell’Espressionismo Astratto (americani, ma ebrei: e per ciò mediorientali nel fondo spirituale) l’italiano-mediterraneo Franco Viola dedica il suo corpo a corpo visivo con la natura e ne risulta una gustosa mostra passata adesso nelle sale del museo di Vienna («Rethinking nature», fino al 12 agosto) per la gioia non casuale di chi ama la famosa «visione da lontano» che secondo Adolf von Hildebrand costituiva la cifra estetica per antonomasia dell’opera d’arte.
In questo esercizio espressivo (ma anche spirituale) la naturale vena coloristica di Viola incontra l’elemento stürmer dell’espressionismo (più o meno astratto) e dà il meglio di sé nello spazio di tinte estive che si esauriscono fino quasi a svanire come la nota «ventura delle venture» cantata da Montale a proposito del girasole («... si esauriscono i corpi in un fluire di tinte»).

Tenere assieme morfologia del paesaggio, visione retinica, sguardo siderale e topografia dell’anima: così la pittura di Franco Viola al di là di ogni freddo intellettualismo si riconosce nel più pagano degli omaggi («O caro Pan...») al sentimento divinizzante della «eterna natura».

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