L’eterno 8 settembre, l’Italia non sa fare la pace con la storia

Una polemica che intossica da oltre 60 anni il mondo politico. Ieri il discorso del ministro alla Difesa, in favore dei repubblichini, ha generato una nuova ondata di reazioni indignate

L’eterno 8 settembre, l’Italia non sa fare la pace con la storia

L’8 settembre, Salò, la Shoah, il fascismo come male assoluto: tutti questi ingredienti d’una polemica che intossica da oltre sessant’anni il mondo politico sono stati riproposti, negli ultimi giorni, agli italiani: che certamente sono assillati da altre priorità e da altri problemi. Ma alcuni protagonisti della ribalta pubblica gongolano se hanno modo di cimentarsi in dibattiti ripetitivi e polverosi, e di pavoneggiarcisi proclamando a gran voce la loro fede democratica e antimussoliniana.
Ricorreva ieri il sessantacinquesimo anniversario del sacrificio di militari e civili che all’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli angloamericani vollero opporsi ai tedeschi, e in quell’impari, generoso combattimento persero la vita. Giorgio Napolitano ha celebrato la ricorrenza con le frasi d’obbligo che la sua carica comporta. Si è soffermato sul duplice segno della Resistenza, quello della ribellione e della volontà di riscatto che animò i partigiani, quello del senso del dovere, della fedeltà ai giuramenti e della dignità che animò tanti appartenenti alle Forze Armate. Con tono nettamente diverso il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha reso omaggio anche a quanti, per una loro idea della Patria, militarono nella Repubblica Sociale Italiana. A sua volta il sindaco di Roma Gianni Alemanno, pur condannando senza esitazione l’esito «liberticida e antidemocratico» del Ventennio, ha ribadito che il fenomeno totalitario in Italia fu complesso: così tornando sul concetto espresso in precedenza secondo il quale non il fascismo ma le leggi razziali furono «il male assoluto». Dal che è derivata una nuova ondata di reazioni indignate. Walter Veltroni ha sveltamente annunciato d’essere pronto a dimettersi dal comitato romano per il museo della Shoah (comitato di cui il sindaco Alemanno è vicepresidente).
Questo revival d’un battibecco interminabile non porterà - come non ha portato in precedenza - a nessuna conclusione positiva. Si discute sulle parole, ed è a mio avviso evidente che l’espressione «male assoluto» si presta a interpretazioni individuali: e che non esiste la possibilità di dimostrare in maniera convincente che solo le leggi razziali furono il male assoluto, oppure che lo fu anche il fascismo, oppure che nella storia, al di là dei nominalismi, il male assoluto non trova posto. È un po’ come per l’altro termine che sta molto a cuore a chi presume d’essere detentore della verità: crimine contro l’umanità. Cosicché un qualsiasi gregario tedesco che rastrellò e uccise per ordini superiori doveva rispondere di crimini contro l’umanità, ma un pluriassassino della P 38 brigatista è assassino e basta.
Celebrando la difesa di Roma, e in particolare l’intrepido e isolato combattimento di Porta San Paolo, si è di fatto celebrato l’8 settembre come data degna di ricordo. Lo aveva fatto in precedenza il presidente Ciampi, e a Ciampi - così come adesso a Napolitano - ho rimproverato quel cedimento alla retorica e alle convenzioni del politicamente corretto. Le Alte Autorità amano sostenere, quando rievocano l’8 settembre, che esso fu una attestazione di ribellione alla tirannia, una invocazione di libertà. Siamo chiari. Gli italiani scapparono a casa - fatte salve eccezioni molto onorevoli e anche eroiche, ma eccezioni - perché non volevano più combattere: esortati a così comportarsi dall’esempio della famiglia reale e del capo del governo - un maresciallo d’Italia! - fuggiaschi verso Ortona a Mare e poi imbarcati sulla corvetta Baionetta. Quella dei tedeschi dopo l’8 settembre non fu un’operazione bellica, fu un immane rastrellamento. Pochi uomini si batterono a Roma: il corpo d’armata che avrebbe dovuto presidiarla si liquefece (Kesselring, il capace comandante tedesco, era inizialmente del parere che fosse impossibile contrastare le superiori forze italiane e che convenisse ripiegare al Po). In quello sfacelo non si ravvisava nessuna ansia di libertà democratica, ma solo l’avversione a una guerra palesemente perduta. Gli italiani erano contro il fascismo. Ma contro il fascismo sconfitto.
Non sono del parere che il fascismo abbia assunto connotazioni intollerabili solo con le leggi razziali. Quand’anche non le avesse varate, ma avesse perduto la guerra come l’ha perduta, sarebbe stato causa della sventura d’Italia. E tuttavia mi sembra assurdo negare - come qualcuno fa - che tra il razzismo fascista e il razzismo nazista vi sia stata una differenza - quantitativa e qualitativa - enorme, e che l’attribuire a Mussolini, in realtà molto poco sensibile alla questione, le pulsioni razziste d’un Hitler è deformazione storica (attuata con un espediente che contrassegna molta pubblicistica antifascista, ossia il considerare fascismo mussoliniano anche quello di Salò). Il fascismo «normale» finì il 25 luglio 1943, il suo truce seguito fu nazifascismo. Con il Duce ridotto a vassallo dell’invasato di Berlino, e condizionato da squadracce di fanatici.
La Russa rende onore ai combattenti di Salò. Secondo me - che pure fui nel campo opposto - i veri combattenti di Salò, non gli scherani delle varie polizie, l’onore lo meritano. Ci fu nei migliori tra loro una voglia di beau geste, il non essere sciacalli che mordevano la tigre tedesca malconcia dopo avere dalla tigre implorato qualche boccone delle prede che andava catturando. I combattenti per bene di Salò non erano intelligenti, perché lanciavano squilli di rivincita mentre la catastrofe appariva ormai inevitabile a ogni persona di buon senso. Ma potevano essere rispettabili.

E tuttavia certi pronunciamenti tipo quelli di La Russa hanno l’aria d’essere non soltanto un omaggio ai vinti ma una correzione della storia: nella quale i vinti - soprattutto i vinti con quelle caratteristiche - hanno sempre torto. Il mio consiglio è: niente trombe per l’8 settembre, che fu una vergogna, niente trombe per gli illusi che, lo volessero o no, facevano la guerra al servizio di Hitler.

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