L’ex capo dei Ris a casa di Brenda

L’ex capo dei Ris a casa di Brenda

È la prima volta, dopo la morte di Brenda, che la porta arancione del seminterrato di via Due Ponti si apre per fare entrare persone diverse dagli investigatori che indagano sulla misteriosa morte del trans coinvolto nella vicenda del video-ricatto all’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo.
Ieri, nel monolocale dove lo scorso novembre il transessuale brasiliano morì per le esalazioni da ossido di carbonio sprigionatosi da un incendio divampato di notte nell’abitazione sulla Cassia, si è svolto il sopralluogo della task-force di tecnici voluta dai legali della famiglia di Brenda, Walter Biscotti e Nicodemo Gentile. «È compito dei tecnici - spiegano gli avvocati - darci le risposte per capire se è stata uccisa o meno. Scoprire la verità è quello che ci chiede la madre di Brenda». I magistrati che indagano sull’affaire Marrazzo e sulla tragica fine del trans, sono sempre stati convinti che quella di Brenda non sia stata una morte accidentale ma un omicidio volontario. Troppi i particolari che non tornano, dalla valigia che prende fuoco improvvisamente senza un apparente innesco, al computer del brasiliano, che dovrebbe contenere un altro video compromettente di Marrazzo e di chissà quanti altri clienti ricattati, trovato sotto l’acqua nel lavandino dell’appartamento bruciato.
L’odore dell’incendio non se n’è andato, sul tavolo ci sono ancora i piatti sporchi. Il gruppo di consulenti della difesa è composto dell’ex capo del Ris di Parma Luciano Garofano, due medici legali, due periti informatici e un chimico. Hanno scattato foto e girato un filmato e, armati di guanti in lattice, tute e illuminatori a batteria, perché in casa non c’è la luce, hanno perlustrato attentamente ogni angolo. «Abbiamo fatto i rilievi necessari - spiega Garofano - studieremo queste immagini, la perizia medico legale e le analisi della scientifica già affettuate». L’ex capo dei Ris ammette di essersi fatto un’idea precisa del luogo da dove è partito l’incendio: «Però per correttezza nei confronti degli investigatori non è giusto dare dei particolari», si trattiene. Il via vai di giornalisti e tecnici ha incuriosito alcuni trans, tra loro China, uno degli amici di Brenda. «Quella notte sono accadute tante cose», azzarda. «Per tre mesi non abbiamo lavorato, ma anche adesso nulla è più come prima», dicono gli altri. Camilla, invece, sostiene di aver visto qualche settimana fa Marrazzo a un distributore di benzina a Tor di Quinto: «Ma non credo fosse venuto in quella zona per fare sesso». Poi c’è R.

, un ex trans che vuole rimanere anonimo: «Ho conosciuto Marrazzo nel 2005 su via Flaminia. È stato un mio cliente e pagava bene. Grazie ai suoi soldi mi sono potuta operare tre anni fa ed ora sono una donna a tutti gli effetti». Quanto mi pagava? «Non lo dirò neppure sotto tortura».

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