Peccato che Jean Baudrillard, il filosofo francese morto il 6 marzo a Parigi, non sia più tra noi. Altrimenti oggi non esiterebbe a dimostrare che Khalid Shaik Mohamed, il gagliardo terrorista pakistano che nella sua fluviale confessione, fra le tante imprese che si è attribuito, ha sbandierato anche l11 settembre, è semplicemente un fantasma.
Un fantasma che non sa di esserlo. E non può saperlo perché non ha letto Requiem per le Twin towers, il celebre saggio in cui lui, Baudrillard, rivelò che le Torri gemelle non furono affatto abbattute dai terroristi islamici. Le abbattemmo noi occidentali provocando, con la nostra sciocca paura dellorgoglio musulmano, la giustificata reazione punitiva delloggetto di questo nostra immotivata fifa.
Questo oracolo di Baudrillard sulle vere cause dell11 settembre fu il canto del cigno di un pensatore che aveva a lungo tentato di conquistare la gloria proponendo in varie forme una sua raffinata «teoria del simulacro visto come significante senza reale significato». Che significa questa frase? La parola ai fans della Filosofia Postmoderna. Anche il vasto popolo dei non filosofi dovrebbessere però in grado di capire che Baudrillard rischiò con quelloracolo di vincere la strepitosa gara che si aprì, subito dopo il crollo delle torri, fra i massimi profeti europei e americani del Tramonto dellOccidente.
Il silenzioso fragore del crollo delle Twin Towers fu infatti presto sommerso da una mareggiata di applausi. Il primo indimenticabile squillo di gioia risuonò anzi mentre le torri stavano ancora crollando. Memorabile resta lo scoppio di estatica esultanza con cui quel giorno Karleinz Stockhausen, lormai attempato enfant prodige della musica post-moderna, volle salutare levento dichiarando inebriato che i terroristi di Allah avevano realizzato «la più grande opera darte di tutti i tempi». Seguì, subito dopo, la performance di Susan Sontag, che sul baratro ancora fumante di Ground Zero disse che non bisognava accusare di viltà gli attentatori dell11 settembre, giacché «i vigliacchi in realtà siamo noi».
Ebbe così inizio la massima espressione della nuova fede occidentale: il festival perpetuo del mea culpa quotidiano.
Ma ora che lui, Baudrillard, non cè più, chi si prenderà la briga di spiegare a Khalid Shaik Mohamed che lui è soltanto unombra, un simulacro, uno spettro?
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