Ma l’importante non è mai partecipare

Premi, plausi, consensi: tutte effusioni sospette, dalle quali tenersi alla larga. Racconta Giancarlo Buzzi che quando a Tommaso Landolfi, che si trovava a Montecarlo, giunse la notizia che forse (forse) aveva vinto lo Strega, l’autore delle Due zittelle s’affrettò a spedire un telegramma al suo editore: «Pregasi inviare urgentemente un milione di lire per l’onta della sconfitta stop o della vittoria stop». E una volta a Louis-Ferdinand Céline scappò detto che «la lode è sempre castrante». Di fronte a tanta superbia, facile immaginare una possibile reazione: colpetti di tosse per celare il dissenso, distinguo di circostanza («dipende da chi loda... »), o anche sfacciati sorpassi a destra, alla Mae West: che lodino, che biasimino, purché parlino di me. Reazione legittima: perché in fondo, il desiderio di vedere riconosciuto il proprio merito non ha niente di immorale.

Basta pensare agli antichi greci, che si lanciavano sfide all’ultima tragedia; o al critico Harold Bloom, che vede la storia universale della letteratura come una gara automobilistica in cui Shakespeare, al giro di traguardo, riesce a soffiare la coppa a Dante. E allora perché tante energie spese a sorridere del poveretto, del bamboccio che aspira con tutto il cuore a essere premiato, se non per esorcizzare la paura che ci riesca?

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