L’Iran non nasconde i suoi piani: «60mila centrifughe in un anno»

Ahmadinejad: «Non temiamo un attacco. Israele è debole e ha problemi e agli Usa suggerisco di evitare lo scontro. Siamo in grado di affrontare i Paesi più potenti»

Gian Micalessin

Una settimana fa gliene bastavano tremila. Ora ne pronostica sessantamila. Mahmoud Ahmadinejad non mette più limiti alla provvidenza e alle capacità dei tecnici nucleari iraniani. Il presidente della Repubblica Islamica vuole tutto subito e garantisce l’entrata in funzione delle 60mila centrifughe a cascata previste dal progetto per l’arricchimento dell’uranio entro il capodanno iraniano del 21 marzo. Nell’entusiasmo per l’imminente avvento nucleare il presidente-pasdaran si prende anche il lusso di liquidare come semplice propaganda le voci di un possibile attacco americano o di un raid israeliano. Fuori dall’Iran quelle voci sono, invece, un fiume in piena. Condoleezza Rice definisce improbabile un attacco Usa, ma non nega che George W. Bush abbia parlato di un possibile raid israeliano nel corso del suo incontro con il presidente francese Jacques Chirac. Un raid di cui Bush avrebbe detto di «comprendere le ragioni». E mentre Washington annuncia l’apertura a Dubai di un centro di «osservazione» sull’Iran per appoggiare il dissenso interno, il settimanale americano The New Yorker riporta l’informativa di un infiltrato del Mossad sugli esperimenti iraniani per la realizzazione di un detonatore nucleare.
«Vogliamo installare 60mila centrifughe e con l’aiuto di Dio saremo in grado di soddisfare il nostro fabbisogno nucleare Entro il prossimo anno», proclama Ahmadinejad. Il nuovo rilancio del presidente cancella le più pessimistiche previsioni d’intelligence dei servizi francesi e del Mossad che ipotizzavano la messa in linea di un massimo di 3mila centrifughe nei primi cinque mesi del 2007. Ahmadinejad d’altra parte non sembra preoccupato da quella che definisce la «guerra psicologica» di Israele e Stati Uniti. «Il mio suggerimento ai governanti americani è di evitare uno scontro con la nazione iraniana ... anche il regime sionista è debole e ha i suoi problemi, mentre noi siamo in grado di affrontare anche paesi molto più potenti», assicura il presidente escludendo qualsiasi passo indietro con l’Occidente. «Qualche concessione è indispensabile per risolvere una disputa, ma nessuno può chiederci di rinunciare ai nostri diritti». Mentre Ahmadinejad sventola la bandiera del nucleare, il mondo s’interroga su come fermarlo. Le sanzioni, nella versione sempre più sfumata che prende corpo al Consiglio di sicurezza, appaiono inadeguate, soprattutto se l’Iran rispetterà la scadenza del prossimo marzo. Il più inquieto in questo scenario è Israele. La minaccia nucleare rischia di trasformarlo in uno stato senza futuro, poco attraente per chi vive e ancor meno per chi pensava di emigrarvi. A moltiplicare l’allarme contribuirebbero le informazioni di un infiltrato del Mossad sugli esperimenti per la costruzione di un innesco nucleare condotti dai militari iraniani. La notizia, fatta trapelare da fonti dell’intelligence americana è contenuta nello stesso articolo del New Yorker, in cui altre fonti statunitensi danno per certa l’incapacità della Cia di provare l’esistenza di un programma clandestino iraniano per la costruzione della bomba. L’indiscrezione va di pari passo con la spiegazione utilizzata dal segretario di Stato Condoleezza Rice per spiegare alla diplomazia europea l’impossibilità di un attacco statunitense. Secondo la Rice, il Pentagono non avrebbe a disposizione una mappa esatta di tutte le installazioni nucleari e non sarebbe quindi in grado di garantire l’efficacia di un’incursione limitata. Per questi motivi la Casa Bianca preferirebbe per ora continuare a sperimentare le opzioni politiche puntando, nel breve periodo, sul programma di sanzioni all’esame del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Israele potrebbe essere molto meno disposto ad attendere e più propenso a colpire preventivamente, per mostrare decisione e riconfermare le proprie capacità militari.

Il raid israeliano, ipotizzato nei recenti colloqui fra Bush e Chirac, non punterebbe ad azzerare le capacità nucleari iraniane, ma semplicemente a ritardarle e a inviare un segnale di determinazione. Un raid che consentirebbe all’America di risparmiare le forze in attesa di dati e informazioni più certi.

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