L’Iran testa missili sul Golfo Persico Possono colpire Israele e le basi in Irak

«I nostri razzi arrivano ovunque. Tutti gli obiettivi nemici devono considerarsi sotto tiro»

Al meglio della sua forma tecnica lo Shehab 3 è in grado di recapitare una tonnellata di tritolo o una piccola atomica a duemila chilometri di distanza con un raggio d’errore inferiore ai cinquanta metri. È il missile con cui gli ayatollah minacciano Israele, il vettore capace di portare eventuali testate nucleari, l’ordigno in grado di devastare le basi americane in Afghanistan, in Irak e nel resto del Medio Oriente: la vera arma strategica di Teheran. Ieri, ha di nuovo solcato il cielo del Golfo Persico. È stata soltanto un’esercitazione, una risposta ai voli dei cacciabombardieri israeliani sopra il Mediterraneo e alle manovre navali statunitensi nel Golfo iniziate lunedì, ma il lancio dello Shehab 3, sollevatosi da un poligono nel deserto iraniano assieme ad altri otto missili, illustra meglio di ogni minaccia la rappresaglia iraniana in caso d’attacco contro i siti nucleari. Il generale Hossein Salami, comandante della marina dei pasdaran, responsabile per il «Grande Profeta 3», le manovre dei Guardiani della Rivoluzione entrate ieri nella fase più intensa, ha fatto dichiarazioni esplicite: «Con queste operazioni vogliamo dimostrare che siamo pronti a difendere l’integrità della nazione... i nostri missili sono pronti a colpire ovunque e in qualsiasi momento con rapidità e precisione. Tutti gli obiettivi nemici devono considerarsi sotto tiro». Soltanto 24 ore prima la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, massima autorità politica e religiosa della Repubblica islamica, aveva avvertito che qualsiasi tentativo di fermare il programma atomico iraniano innescherà l’incendio d’Israele e delle navi americane nel Golfo.
La prima a non fraintendere il linguaggio del generale e delle autorità iraniane è Condoleezza Rice: «Questa è la prova che la minaccia missilistica non è assolutamente immaginaria», dice il segretario di Stato americano, ricordando le velenose critiche rivolte all’Amministrazione Bush per aver sollecitato l’installazione in Europa orientale di uno scudo anti-missilistico capace di difendere da attacchi iraniani. Proprio ieri, Rice e il ministro degli Esteri di Praga, Karel Schwarzenberg, hanno firmato un accordo per la costruzione di un radar nella base ceca di Brdy.
Gli Shehab 3, anche nella versione più moderna e precisa, quella lanciata ieri mattina, non sono in grado di toccare l’Europa, ma sono assolutamente capaci di minacciare Israele e le principali basi americane nella regione. Israele resta il bersaglio più sensibile, considerate le minacce di cancellazione dalle cartine geografiche pronunciate spesso dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e le indiscrezioni secondo cui l’aviazione israeliana potrebbe colpire le installazioni nucleari iraniane prima della fine dell’anno. «Israele – precisavano ieri i portavoce di Gerusalemme – non cerca né lo scontro né una situazione di ostilità con l’Iran, ma la comunità internazionale non può restare indifferente di fronte ai progetti balistici di Teheran e al suo programma nucleare».
Gli analisti militari occidentali per ora invitano alla calma. Il vettore Shehab 3, il cui nome in persiano significa Meteora, deriva dal missile nord coreano Nodong 1 e nonostante una sperimentazione protrattasi per oltre dieci anni (i primi prototipi risalgono al 1998) potrebbe non aver raggiunto una precisione e una stabilità tali da garantire l’arrivo a bersaglio dopo un volo di duemila chilometri.

Da anni, gli esperti di Teheran lavorano però a un nuovo sofisticato sistema di guida dello Shehab 3 in grado di aumentarne la stabilità e annullare i sistemi d’intercettazione anti-missile Arrow forniti dagli Stati Uniti ai propri alleati.

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