Poco mediatico, e per questo probabilmente sconosciuto al grande pubblico europeo, Stephen Bryen è considerato uno dei massimi esperti a livello mondiale di cyber-terrorismo, di difesa e di tecnologie. Esponente di punta dei famosi/ famigerati neo-conservatori che ispirarono la politica estera di George W. Bush. È stato vice sottosegretario alla Difesa del Presidente Reagan, in buona sostanza l’uomo chiave nel progetto del famoso Scudo Stellare, che molto ha contribuito a mettere in crisi il gigante sovietico. Poi è stato anche uno dei più influenti consiglieri dei Bush, padre e figlio. In arrivo ad inizio 2016 la sua ultima pubblicazione, il libro sulle cyber-minacce dal titolo “Technology Security and National Power: Winners and Losers” (la videointervista integrale è disponibile al link http://www.nododigordio.org/sala-stampa/intervista-a-stephen-bryen-a-cura-di-marcigliano-e-marsini-22-7-2015/).
L'accordo siglato a Vienna lo scorso 14 Luglio con l'Iran. Un accordo che in Europa è stato accolto con grande entusiasmo, soprattutto in un'ottica economica...
In primo luogo, bisognerebbe chiedersi chi è contro questo accordo? Certamente Israele è contrario, l'Arabia Saudita è contraria, così come gli Emirati Arabi – afferma Stephen Bryen – C'è nervosismo in questi Paesi circa la possibilità di un Iran nuclearizzato e per questo si riscontra scetticismo sulla prospettive di uno sviluppo pacifico.
E la della percezione americana dell'accordo: cosa farà adesso il Congresso?
Con tutta probabilità la maggioranza dei rappresentanti in entrambe le camere del parlamento statunitense potrebbe opporsi. Il che apre a una sola possibilità per il Presidente Obama: ricorrere al veto presidenziale o perdere credibilità con l'Iran. Negli Stati Uniti – spiega Bryen – in caso di opposizione da parte del Congresso, il Presidente può porre il veto all'atto che torna alle camere. Qui i rappresentanti dovranno formare una nuova maggioranza di almeno i 2/3 per vincere. Tuttavia, nell'eventualità che si debba arrivare a tanto, i Dems al Senato e alla Camera sembrano sufficienti per far approvare l'accordo con l'Iran. Tutto questo a meno di cambiamenti nello scenario iraniano a causa di variabili come improvvise manovre politiche del Presidente Rohani o imprevedibili minacce terroristiche.
Da un accordo ancora pieno di punti interrogativi a una minaccia sempre più concreta: l'avanzata dello Stato Islamico. La sensazione è che non si sia fatto abbastanza e che al di la di sporadiche iniziative isolate da parte di qualche Stato, poco si sia veramente fatto per giungere ad una strategia di contrasto condivisa ed effettiva.
La NATO non ha alcun ruolo in quest'azione contro lo Stato Islamico. Non è chiaro se debba essere l'Alleanza Atlantica a dover reagire, ma quello che è chiaro è che serve una coalizione concreta che ad oggi non si può dire coincidere a pieno con quella in atto dei “volenterosi”. Quello che manca è una strategia per affrontare queste criticità. C'è sempre più bisogno di azione ma non c'è un piano a supporto in questo senso.
Con lo Stato Islamico da un lato e dall'altro la ritrovata alleanza Stati Uniti-Iran, Israele vede accrescersi le sue preoccupazioni.
L'accordo con l'Iran ha lo scopo di portare pace, non certo di incrementare le tensioni nella regione. In Iran c'era un rigido embargo, probabilmente non perfetto, ma certamente molto duro. Parte dell'accordo con l'Iran è stato orientato proprio alla riduzione di questo embargo che adesso, sembra essere in buona parte smantellato in cambio dell'arresto del processo nucleare iraniano. Tuttavia Israele ha ragione ad mantenere delle riserve: non si fida dell'Iran e non lo giudica uno Stato stabile. A questo poi bisogna aggiungere le innumerevoli dichiarazioni passate, da parte iraniana, relative alla volontà di distruggere lo Stato israeliano. Dichiarazioni che di certo non aiutano a distendere i rapporti.
Dalle minacce concrete a quelle non meno pericolose del mondo virtuale: il cyber-terrorismo come sfida e pericolo del mondo contemporaneo.
Innanzitutto la principale apprensione rispetto al cyber-terrorismo è data dal timore che questo possa distruggere le infrastrutture critiche: centrali energetiche, acquedotti, linee di trasporto e hub di trasporto, al pari dei centri governativi e militari”. Tuttavia, quando si parla di una minaccia del genere, è bene specificare che questa si identifica principalmente in una minaccia di terrorismo di Stato, in cui uno Stato straniero cerca di far breccia nei sistemi informatici di un altro per accedere a determinati data base o, come per il caso della Cina, per rubare tecnologia. Questo negli Stati Uniti è possibile perché informazioni relative alla tecnologia, così come tutte quelle informazioni non classificate, non sono criptate e quindi risultano più facilmente fruibili.
Matteo Marsini
Associate Analyst del think tank “Il Nodo di Gordio”
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