RomaLorganismo Onu per i rifugiati (Unhcr) insorge: «esprimiamo grave preoccupazione» scrive a palazzo Chigi per il rinvio in Libia dei migranti intercettati in mare e chiediamo alle autorità italiane «di riammettere quelle persone che cercano protezione internazionale». Appello cui si aggiunge da New York il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon che dice di «appoggiare la richiesta dellalto commissariato». Già, ma chi li identifica quelli che chiedono asilo politico dalla massa enorme dei traghettati a pagamento che quotidianamente prende il largo dallAfrica in direzione della penisola? Chi decide se sono profughi o semplicemente gente in cerca di lavoro e di miglior fortuna?
Il tema è delicato. Tantè che, dopo le sollecitazioni di Frattini affinché la Ue si esprima nel suo insieme, non lasciando a Roma il peso e la pena del rigetto, ecco che Barrot, commissario francese di giustizia, libertà e sicurezza, fa sapere tramite i suoi portavoce che dellargomento si dovrà trattare nella riunione dei ministri degli Interni dei 27 in calendario a Lussemburgo per il 5 giugno. Frattini aveva tra laltro sostenuto che le richieste di asilo cui si riferisce lUnhcr dovrebbero essere formulate almeno nei paesi dorigine o in quelli di transito. E non solo una volta approdati sul suolo comunitario per evitare il respingimento. E cè dellaltro. A Bruxelles non possono negare che la terapia decisa dai 27 non molti anni fa (su sollecitazione dellallora ministro degli interni francese Sarkozy) non era esattamente quella prevista dallorganismo ginevrino dellOnu. Nella sola estate 2006 - a Roma cera Prodi a palazzo Chigi - forze congiunte di Italia, Malta, Spagna, Belgio, Grecia, Francia ed altri avevano respinto almeno 20mila clandestini che cercavano un ingresso in paesi Ue. Dal 2005 al 2008 si calcola che siano stati riavviati ai paesi dorigine o di transito ben 150mila persone. Senza che lOnu o laltisonante ma inesistente Consiglio dEuropa avessero trovato il tempo di un intervento di condanna.
Il fatto è che, restando alle sacre dichiarazioni di principio, nessuno si sogna di mettere in discussione i principi della salvaguardia della vita, della dignità della persona e del suo buon diritto a cercare un paese dove poter condurre una esistenza migliore. Ma poi, quando si va sul concreto, tutti si bloccano sul proprio particulare e inseriscono drasticamente il freno a mano. «Non si può certo pensare di scaricare tutto sullItalia - nota così il sottosegretario allInterno Mantovano - senza contare che lUnhcr sa benissimo che per concedere lo status di rifugiato la procedura europea prevede delle speciali commissioni...». «Verifichi lUnhcr in Libia se esistono le condizioni invece che ficcare la testa sotto la sabbia», gli fa eco il presidente dei senatori del Pdl Gasparri. Richiesta ribadita anche dal ministro dellInterno Maroni («La Libia fa parte dellOnu, i respingimenti continueranno») che ha anche chiesto le dimissioni del commissario ai diritti umani del Consiglio dEuropa Thomas Hammarberg: «È stato smentito dal suo capo. Fosse capitato a me, mi sarei dimesso».
Vaga, per ora, la replica dellorganizzazione con sede a Ginevra: si parla di alcuni dei respinti, di nazionalità somala ed eritrea, che avrebbero i requisiti per lo status di rifugiato, ma non se ne forniscono i numeri.
«Noi continueremo allora i respingimenti», osserva Mantovano. In attesa, par di capire, che si pronunci la Ue e che anche il Frontex - lagenzia delle frontiere dei 27-, venga a capo delle trattative aperte tempo fa tanto con Libia e Tunisia, paesi da cui fuoriesce la maggior parte dei boat people. «Se la Ue ha deciso che limmigrazione illegale è un problema europeo ma poi ci lascia soli in prima fila assieme a greci, spagnoli, ciprioti, mi pare arrivato il momento che i capi di Stato e di governo ci dicano che fare quando arrivano barche con 500 persone a Lampedusa...
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