L’Onu ridotto a banditore di proclami

Alberto Indelicato

Dall'inizio della crisi israelo-libanese il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito quattro volte e per quattro volte il segretario generale dell'organizzazione ha indicato la soluzione: il cessate il fuoco.
Come sempre, queste invocazioni si fermano all'apparenza certo drammatica e dolorosa per la perdita di vite umane, per le centinaia di migliaia di pacifici cittadini costretti all'esodo, per le devastazioni, e purtroppo si evita di affrontare il fondo del problema. Così ha fatto Kofi Annan, che nel suo accorato appello si è guardato bene dal pronunciare le parole terrore e terrorismo e dal nominare l'Iran, grande fornitore di missili a Hezbollah, e la Siria, regista occulto ma non troppo dell'operazione. Eppure proprio la Siria aveva dato poche ore prima uno schiaffo al segretario generale respingendo la missione inviata per cercare di ottenere che Damasco collaborasse ad una soluzione della crisi. Il governo siriano ha rifiutato di discutere con una delegazione, di cui faceva parte il funzionario internazionale Terje Roed Larsen, perché questi un anno fa «era andato oltre i suoi compiti quando aveva indagato sul caso Hariri», del cui assassinio - com'è noto - era con molta probabilità responsabile proprio la Siria.
Nelle sue invocazioni Annan avrebbe anche potuto aggiungere un mea culpa per il fatto che le Nazioni Unite non sono state capaci di far applicare quella risoluzione 1559, in base alla quale Hezbollah, dopo il ritiro degli israeliani dal Libano, doveva essere disarmato. La tragedia attuale sarebbe stata evitata se ciò fosse stato fatto non mediante patetiche esortazioni, né affidando il compito all'esercito libanese, esso stesso inquinato dalla presenza di sciiti amici dei terroristi, ma mediante un serio contingente militare multinazionale autorizzato ad eseguire il disarmo con ogni mezzo. Di un simile contingente si parla adesso senza peraltro riuscire a realizzarlo.
È grottesco inoltre parlare di «forza d'interposizione» quando il problema non risiede soltanto nello scontro tra forze di terra, ma anche e soprattutto nel lancio di missili di gittata di migliaia di chilometri.
Naturalmente dell'immobilismo parolaio della comunità internazionale sono in primo luogo responsabili gli Stati, che pure nelle questioni balcaniche sono stati ad un certo punto più decisi. La spiegazione sta nella specificità della situazione medio-orientale, nel fatto che per la divisione dell'opinione pubblica i vari governi - compresi quelli dell'Unione Europea - non osano far nulla che dispiaccia ai palestinesi e a coloro che si dicono loro amici. Ne sono prova la ridicola vestizione da palestinese di Zapatero e la proposta di D'Alema di mandare delle forze di interposizione anche a Gaza, per difendere gli uomini di Hamas.
Resta il fatto che crisi come l'attuale mettono in evidenza l'impotenza delle Nazioni Unite come organizzazione che dovrebbe mantenere la pace e «reprimere gli atti di violenza».

Il governo italiano, che vuole partecipare attivamente alla soluzione del problema, per il momento potrebbe fare omaggio a Kofi Annan - e naturalmente a tutti i membri permanenti e temporanei del Consiglio di Sicurezza - di un esemplare dei «Promessi Sposi» con un segnalibro alle pagine in cui si elencano i bandi, i proclami, le ingiunzioni con cui si proibivano i «bravi» e vi si narra quale era la sorte di tutti quelle inutili «risoluzioni».

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