«L’Ue non sa parlare con una sola voce»

Roma«Una delle più grandi delusioni delle mie esperienze internazionali...». Non usa troppi giri di parole Franco Frattini nel commentare il fallimento della ricerca di una posizione comune della Ue sulla conferenza dell’Onu sul razzismo. «Un errore gravissimo - continua il ministro degli Esteri - perché denota l’incapacità, nonostante le tante parole spese a riguardo, di trovare almeno un minimo comun denominatore su un problema di base: quello della lotta alle discriminazioni di cui ci facciamo spesso portavoci a Bruxelles. E il bello è che, in sede di consiglio, tra tutti e 27, eravamo riusciti a trovare una posizione comune su un testo elaborato dagli olandesi. Si era detto: o i documenti preparatori cambiano, o la Ue presenterà il suo testo...».
E invece...
«E invece alla fine in qualcuno è prevalsa la linea del compromesso, del lasciar lavorare il mediatore russo, dell’indifferenza su un tema che dovrebbe pur sempre restare un pilastro della Ue, quello cioè dei diritti della persona».
Lezione amara, quella che si ricava dal dietrofront di altri Paesi europei, rispetto alla coerenza italiana e olandese, no?
«Di fatto si dimostra una volta di più che l’Europa, nonostante le intenzioni dichiarate, non è capace di parlare a una sola voce. Il che lascia liberi i Paesi membri di decidere singolarmente in base a quelli che ritiene i propri principi fondamentali».
Ministro Frattini, ma perché secondo lei alcuni Paesi come la Gran Bretagna hanno deciso che a Ginevra ci saranno, nonostante avessero detto, con l’Italia e il resto della compagnia, che equiparare Israele a un Paese razzista non era assolutamente condivisibile? Affari o che altro?
«Non lo so. Immagino si sia preferito un compromesso a tutti i costi. E ciò nonostante il fatto che nei testi predisposti per l’appuntamento di Ginevra, a parte qualche piccolo miglioramento, si mantenga un’impostazione di base che equipara Israele a un Paese razzista anziché a una democrazia. Ci sono tuttora frasi inaccettabili che un pizzico di coerenza con quanto affermato nella riunione dei ministri degli Esteri Ue, avrebbe dovuto indurre a rinunciare a prender parte alla conferenza. Come abbiamo deciso noi e come hanno scelto di fare anche Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Olanda. Senza contare che sono curioso di vedere poi in quanti saranno a Ginevra...».
Che vuole dire?
«Le rivelo una cosa: a tutt’oggi (domenica, ndr) sono solo 50 i Paesi ad aver confermato la loro partecipazione su 160 invitati. Certo, alla fine risulteranno più dell’esiguo numero delle attuali conferme, ma le pare che quanto emergerà da Ginevra a firma Onu, possa avere quella credibilità che avremmo voluto per un discorso nobile quale la necessaria lotta al razzismo se verranno a mancare tanti e importanti Paesi?».
Beh, diciamo la verità: che se nella Ue si stenta ancora troppo per trovare un’intesa financo sui principi, a livello mondiale non è che le Nazioni Unite siano viste più come una entità credibile, no?
«Io credo che l’Onu possa ancora avere una grande importanza se riesce a coagulare consensi su problemi veri e concreti. Quando invece si deve constatare che un Consiglio di sicurezza resta impantanato nei veti reciproci o che interventi in aree di crisi importanti - e penso all’Africa - non si possono mettere in piedi per i contrasti esistenti o che, ancora, in conferenze come quella sul razzismo passano non regole valide e condivisibili, ma testi di parte, è chiaro che non ci siamo. Non è del resto un caso che proprio l’Italia, da tempo, va reclamando una profonda riforma dell’organizzazione delle Nazioni Unite».
Predichiamo però in una terra di sordi, non è vero?
«Siamo testardi e continuiamo a tendere a una riforma che privilegi principi e valori di fondo: più rappresentatività, più partecipazione. E poi non siamo soli: a febbraio scorso, su invito della Farnesina per un discorso di riforma dell’Onu, sono stati 70 i Paesi che hanno inviato i loro rappresentanti a Roma».
Ma anche in questo caso un pezzo d’Europa non fa quadrato con l’altro pezzo...
«Questo è un punto vero e dolente. Torno a ripetere: non è possibile che la Ue, che ha preso impegni precisi col trattato di Lisbona, parli tanto di unità ma poi si ostini a non voler creare una politica comune. E mica penso solo a Durban 2! Pensate al problema dell’immigrazione: proprio stamane (ieri per chi legge, ndr) ho parlato con Maroni cui ho assicurato che al prossimo consiglio a 27 solleverò il problema, riaperto dal caso del mercantile Pinar. Perché non si può pretendere che tutti seguano le stesse regole e poi su un problema di questo tipo si scarichi ogni responsabilità solo su chi se lo trova in casa.

Non abbiamo sempre parlato di diritti civili come vero e proprio pilastro della Ue? O, quando conviene agli altri, divengono ammennicoli o optional?».
E intanto a Ginevra l’Italia non ci sarà.
«In linea con quanto sempre detto da noi e dalla Ue. E perché andar là e fare i testimoni silenziosi alla fine non paga: si rischia solo la complicità».

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