L’Ue ritira la mano tesa a Obama per ospitare gli ex di Guantanamo

Guantanamo? No grazie. Non appaiono «molto entusiasti» - come riferisce il presidente di turno dei ministri degli Esteri dei 27, il ceco Karel Schwarzenberg - i paesi Ue di fronte all’ipotesi di esser pregati dal nuovo governo Usa di dare una mano per lo sgombero e la chiusura di Camp Delta, l’enclave statunitense a Cuba in cui sono rinchiusi i presunti terroristi accalappiati dall’amministrazione Bush.
L’Europa, che da tempo aveva battuto il tasto della chiusura del carcere, vorrebbe in realtà presentarsi disponibile alla prima chiamata di Obama, ma non piace a nessuno l’idea di farsi recapitare a casa estremisti islamici accusati ma non processati, o semplicemente sospetti o comunque dai rapporti poco chiari con le centrali del terrore. A tutto ciò si aggiungono difficoltà procedurali e giuridiche. Franco Frattini, salito ieri a Bruxelles per la consueta riunione del Cagre (Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne) dei ministri degli Esteri dei 27, pur chiarendo che l’Italia «affronterà con spirito positivo la richiesta americana», ha sottolineato ad esempio che ci sono due nodi da sciogliere e una pre-condizione da istituire. Il primo ostacolo - ha osservato - è quello che la nostra Costituzione «vieta di tenere in prigione una persona che non sia imputata». Il secondo è quello derivante dal fatto per il quale se «i detenuti fossero definiti bisognosi di protezione, in base ai trattati europei dovrebbero ottenere la libertà di circolazione all’interno della intera Ue...».
Ma è quanto invece non vogliono alcuni dei 27. Ed è appunto questa la pre-condizione citata da Frattini ma anche da altri presenti all’appuntamento di Bruxelles. «Vorremmo avere una piattaforma comune...», ha ammesso Benita Ferrero Waldner, commissario Ue alle relazioni esterne. Anche Javier Solana, alto rappresentante europeo per la politica estera e la sicurezza, ha ammesso come la Ue «sia pronta ad aiutare se necessario, anche se al momento non è stata avanzata ancora alcuna richiesta» ma ha fatto capire che occorrerà una valutazione comune in seno ai 27. Ed è proprio quella che manca, al momento. Perchè se il titolare della Farnesina ha fatto capire che, sia pure in modo informale, Washington ha già chiesto una mano («L’Italia - ha detto il titolare della Farnesina - sta già esaminando alcuni nomi di detenuti in vista della chiusura della prigione speciale americana»), altri hanno ribadito seccamente il proprio “no” all’idea di ospitare qualche ex-internato. David Milliband, ministro degli esteri britannico, ha ad esempio rilevato come il suo paese abbia già riaccolto sul suo territorio 9 cittadini di nazionalità inglese «e dunque noi la nostra parte l’abbiamo già fatta». Il suo collega lussemburghese Jean Asselborn non ha voluto aprire nemmeno uno spiraglio: «Guantanamo l’hanno aperta gli americani. Siano loro a chiuderla!». Parimenti contrari i governi di Austria, Olanda, Danimarca e Svezia. Mentre più possibilisti sono parsi i finlandesi («Penso dobbiamo tendere la mano agli Usa: è un nuovo inizio» ha chiarito Alexander Stubb) e i portoghesi per i quali ultimi Luis Amado ha insistito su un accordo europeo in modo da costruire «un ombrello comune che ci permetta di trattare poi con gli Usa».

I francesi, tra i primi a dir di sì all’ipotesi, insistono comunque - lo ha fatto il ministro Kouchner - per una missione a Guantanamo per verificare lo stato delle cose: potrebbe svolgersi a metà marzo e coinvolgere Barrot e il coordinatore anti-terrorismo Ue, il belga Gilles De Kerckhove. I tempi delle decisioni comunque non saranno brevi. «Non è questione che si possa trattare in settimane o pochi mesi» ha tenuto a chiarire il ceco Schwarzenberg.

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