L’ultima stecca di Pisapia: declassa la Prima della Scala

Per la prima volta nella storia messi in vendita i biglietti riservati alle istituzioni simbolo della città. Una mossa di pura propaganda

L’ultima stecca di Pisapia:  declassa la Prima della Scala

Brutta bestia, la demagogia. Che poi diventa un vero è proprio mostro quando si accoppia al cinismo e alla sciatteria formale. Ne sta dando una convincente dimostrazione il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, anche nelle vesti di presidente della Fondazione Scala, insieme alla sua giunta, in particolare ai suoi assessori più illustri e influenti: quello alla Cultura, Stefano Boeri, e quello al Bilancio Bruno Tabacci. Le cose stanno così: quest’anno, in occasione della tradizionale Prima della Scala del 7 dicembre, Pisapia ha deciso di mettere in vendita, per la prima volta nella storia del massimo teatro italiano, i biglietti che tradizionalmente il Comune riserva «ad autorità locali e nazionali e ad ospiti di prestigio italiani e stranieri».

Quindi non solo e non tanto assessori e consiglieri (che oggettivamente quella sera possono anche starsene a casa a guardare la televisione) ma anche figure istituzionali come il prefetto e le più rappresentative figure milanesi della magistratura, del mondo accademico e delle Forze Armate. Si tratta, in tutto, di 110 biglietti del prezzo medio di circa 2000 euro. Il ricavato, previsto fra i 160 e i 180 mila euro - certo non una gran cifra - sarà devoluto in parte alle popolazioni colpite dalle alluvioni dei giorni scorsi e in parte a non meglio precisati «progetti per la città». Non ci sarà certo da scialare.
Demagogia pura, dunque. Trascurando più serie questioni di carattere formale e protocollare. Alla Prima scaligera, infatti, assisteranno, invitate come sempre dal Teatro, le massime cariche istituzionali dello Stato, dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al presidente del Consiglio Mario Monti, ai presidenti delle due Camere, della Corte costituzionale eccetera.

La sera di Sant’Ambrogio, pertanto, non potranno non essere al Piermarini, dovranno, anzi, necessariamente esserci, anche i massimi rappresentanti dello Stato a Milano, civili e militari. I quali, evidentemente saranno costretti a mettere mano al libretto degli assegni per pagarsi di persona i 1800 o 2000 o 2400 euro del biglietto.

Ma è evidente che Pisapia e C. non hanno la minima idea del valore istituzionale e simbolico, non solo per la città di Milano, della serata della Prima. Pensano che si tratti, semplicemente e banalmente, dell’apertura di una qualsiasi stagione lirica e non - per la forza della sua tradizione, per il carico della sua storia e per la qualità della sua produzione - del massimo evento culturale nazionale, il più seguito a livello internazionale.

La Prima della Scala è un evento-istituzione in sé: mettere in vendita i biglietti destinati a chi proprio per questa ragione deve esserci svela tutta la povertà della concezione che invece ne hanno gli esponenti di questa amministrazione comunale: politico-demagogica quella di Pisapia, contabile-mercantile quella di Tabacci, da tardo-alternativo-a-tutti-i-costi quella di Boeri. Non capiscono che il minimo vantaggio politico e propagandistico che riescono (se ci riescono) ad ottenere con quei 160-180 mila euro va tutto a discapito del valore simbolico e istituzionale di uno dei pochi riti collettivi in cui tutta la città continua a riconoscersi.

Ma viene anche da pensare che si tratti semplicemente di una furbata, di un piccolo espediente, del modo per eludere la fastidiosa e oggettivamente difficile scelta di chi lasciare fuori, alla quale ogni anno l’Amministrazione con l’ufficio del Cerimoniale deve sottoporsi.

Già, si rischia di farsi dei nemici, di accontentarne pochi e scontentarne molti. E allora inventiamoci una bella sparata demagogica, che funziona sempre - devono aver pensato. Rovinando così la più milanese delle serate.

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