L’ultimo incubo dei soldati Usa: l’imprendibile cecchino di Bagdad

Gaia Cesare

Un colpo secco, della massima precisione. Una mira da professionista. Un bang e poi la fuga repentina, mentre a terra resta un altro soldato americano. Come nella pellicola di Jean-Jacques Annaud, Il nemico alle porte, l’ultimo incubo delle truppe americane in Irak è un cecchino di cui le forze statunitensi non sanno nulla. I militari americani lo hanno soprannominato Juba. E qualcuno sospetta che sia già diventato un eroe della guerriglia irachena. Agisce prevalentemente a Bagdad, nel sud della capitale. Lo fa con la massima discrezione e poi si dilegua senza lasciare traccia. Aspetto: sconosciuto. Nazionalità: sconosciuta. Vero nome: sconosciuto. C’è solo un dettaglio tragico, in alcuni casi fatale, che i soldati americani stanno imparando a individuare, come le bombe e gli agguati di cui sono vittime: è la sua abilità a centrare l’obiettivo. Da febbraio, in due occasioni, ha colpito a morte altrettanti soldati. Ne ha feriti sei e qualcuno è convinto che sia stata la sua mano a colpire altri dodici militari. Lo fa cercando i punti non protetti del giubbotto antiproiettile, avvicinandosi fino a duecento metri dall’obiettivo.
«È ben addestrato e molto paziente. Non spara mai un secondo colpo», dice al Guardian il tenente colonnello Kevin Farrell riferendosi alla tecnica d’azione di Juba, che aspetta a lungo i movimenti dei soldati, per colpirli nel momento di massima fragilità. «Credo che fermare un cecchino sia un lavoro da cecchini e mi sa che tutti noi dovremo impegnarci per fermarlo». A parlare questa volta è Travis Burress, 22 anni, cecchino di professione nel battaglione 1-64 che fa base a Camp Rustamiyah: «Ogni volta che smontiamo sono certo che tutti noi abbiamo Juba in mente. È una minaccia reale». Il giovane Travis lavora - come fanno in genere i cecchini americani - in coppia con un compagno impegnato a valutare le condizioni del vento e la sua resistenza. Il loro nemico, adesso, è più impegnativo da sconfiggere e rischia di trasformarsi in un paladino della guerriglia, amato perché a differenza degli altri ribelli che agiscono indiscriminatamente su militari e civili, lui opera solo contro soldati ed è entrato ormai nella lista dei guerriglieri «buoni», come qui vengono definiti quelli che usano una discriminante durante le azioni ostili.
Già prima dell’entrata in azione di Juba, la guerriglia aveva festeggiato l’eliminazione di un grupo di quattro cecchini americani a Ramadi. Erano stati uccisi tutti con un colpo di massima precisione, alla testa. Come nella perfida legge del contrappasso, una vendetta commisurata alla colpa.


Ora anche Mike, soldato americano specializzato negli spari di precisione, ha paura. Ha usato la sua arma 14 volte in Somalia, tre in Afghanistan e una in Irak. E assicura: non è una bella avventura, come può sembrare nei film.

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