L’ultimo scoop di Dario Fo: «Sant’Ambrogio era comunista»

Scoperta da Nobel: Sant’Ambrogio era comunista. Non si sapeva, pensavamo fosse un vescovo, invece era un marxista con venature trotzkiste. Se lo dice Dario Fo bisogna credergli, lui ha studiato bene l’opera del Santo (ne ha fatto uno spettacolo teatrale, dal 6 ottobre al Piccolo di Milano, e un libro per Einaudi), senza farsi condizionare dalle falsità e dalle censure dalla Chiesa, che com’è noto manipola l’agiografia in chiave reazionaria. «Ha censurato molti lati del suo carattere - rivela il revisionista Fo -, ma Ambrogio era uno che teorizzava secoli prima di Marx e Proudhon che la proprietà è un furto. Un comunista, sì». Sì, oppure socialista, socialdemocratico, internazionalista, castrista.
Un’altra volta era andato ancora più indietro, lo storiografo Fo, e aveva fatto un altro bello scoop, direttamente su Gesù, noto sessantottino ante litteram: «A Gesù le donne piacevano. E molto. Non a caso se ne portava sempre dietro qualcuna, nel ristretto giro dei suoi eletti». È la storia a misura di Fo. Siccome il regime imbavaglia e censura, tocca al giullare illuminarci sul passato. Ultimamente si occupa di arte. E ovunque vede la stessa scena che sembra uscita da Annozero, da una vignetta di Vauro. Per esempio su Michelangelo Buonarroti, Fo prende per buone leggende e mitologie pur di realizzare il ritratto più consono a se stesso, quello dell’artista ribelle al potere, e il genio rinascimentale diventa un girotondino di Micromega: «È stato perseguitato dal potere più di altri, ma è stato anche uno dei pochi che ha avuto il coraggio di piantare in asso il papa, di dialogare affinché non vincesse l´inciucio. Col suo comportamento ha dato una lezione ai governanti denunciando intrallazzi e mancanza di dignità». Nemmeno Michelangelo fosse Dario Fo. È rimasto legato agli anni ’70, il nostro Nobel, quando da fervido ammiratore di Mao celebrava il «senso dell’arte nella socialità», infilando le massime dal Libretto rosso negli spettacoli del suo teatro, «La Comune». L’artista-revisionista Fo, forte di competenze fuori del comune, è riuscito anche a mettere in dubbio l’autenticità di un Giotto, quello degli affreschi della basilica di Assisi, «non sono attribuibili a Giotto come vorrebbe la tradizione», spiegò lo storico dell’arte e restauratore Fo. «In primo luogo era troppo giovane per poter avere un incarico così importante», ha discettato Fo. Quanto allo stile, non vedete che è del Cavallini e non di Giotto? «Basti pensare - si infiammò - alla tecnica di stesura del colore, alle ombre, alle velature, all'uso dell’appretto!». Un impostore questo Giotto, nemmeno fosse un ministro del Pdl.

Anche il Mantegna, altro artista rivisitato da Fo contro la storiografia ufficiale, diventa il solito ribelle sbarazzino, che ricorda Fo. Il quale ha anche scoperto che il capitalismo è nato in Italia, precisamente a Firenze, sotto i Medici. Una tesi così innovativa da essere sconvolgente. Dove trovi tutti questi scoop è un mistero. Ma non è buffo.

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