L’uomo che sabotò l’orgoglio inglese

«No, no e no, proprio non posso. Non me la sento. Qui è troppo profondo, e io, be’, come ve lo devo ripetere? Non so nuotare...». Lo lasciarono in spiaggia, sotto l’ombrellone, a guardare l’allegra compagnia che si tuffava e giocava in tre palmi d’acqua, e rideva di lui che era simpatico, sì, «ma anche un po’ tanto imbranato». E lui, l’impiegatuccio dell’ambasciata italiana appena arrivato ad Alessandretta, in Turchia, nella primavera del ’43, incassava a malincuore, ma stringeva i denti e pensava: «Stanotte mi rifaccio. Anche se non deve sapere niente nessuno».
Puntuale, al buio, quando l’allegra compagnia era già nelle braccia di Morfeo, arriva la rivincita. E quell’impiegatuccio affettato e fin troppo gentile, più bravo a raccontare barzellette che ad affrontare le onde, diventa - cioè, torna ad essere - Luigi Ferraro, ufficiale dell’ormai leggendario Gruppo Gamma, dei mezzi d’assalto subacquei della Marina Militare italiana. Che vuole dire, in sostanza: mi infilo sotto il pelo dell’acqua, mi metto a cavalcioni su un siluro che ha una specie di motore, lo guido - accidenti, quanto pesa! Ecco perché lo chiamano «maiale» - fino alla pancia della nave nemica. A questo punto, attacco la carica esplosiva, pigio il tasto del timer, e torno a fare il bellimbusto in superficie, per un altro giorno, per un altro mese di guerra, per chissà quanto ancora di questa avventura che non vorrei mai che mi portasse a uccidere qualcuno.
Già, perché Luigi Ferraro ce l’ha sempre avuto, questo pallino della missione impossibile, ma «by fair means», contro le navi della perfida Albione delle invettive di Appelius: «Vado per colarle a picco, certo. Ma, finché posso almeno, non vorrei mai che...». L’hanno condizionato, chissà, «colleghi» come Vincenzo Martellotta, Antonio Marceglia, i capi palombari Emilio Bianchi e Mario Marino, e Spartaco Schergat. E soprattutto quel Luigi Durand de la Penne che, due anni prima, ha affondato nella baia di Alessandria le navi da battaglia inglesi Valiant e Queen Elizabeth, la petroliera Sagona e danneggiato il cacciatorpediniere Jervis. «Signore, la sua nave sta per saltare in aria» aveva detto de la Penne al comandante della Valiant, un istante prima dell’esplosione: «Salvi l’equipaggio». La nave andò distrutta, e i marinai si schierarono sul molo a rendere gli onori a quegli uomini-pesce, spuntati da chissà dove, capaci di portare la morte, ma di scegliere la vita, anche quella dei nemici.
Pensava anche a questo, Luigi Ferraro, quando rientrava dalle sue missioni in groppa al siluro derivato dal «mas»: motoscafo anti-sommergibile, o «Memento audere sempre», come li aveva ribattezzati D’Annunzio. «Ma che m’importa come lo chiamano? - dice lui, mentre nuota da solo nel blu profondo -. L’importante è che funzioni». Eccome funzionano, con un pilota come Ferraro: colano a picco, uno dopo l’altro, quattro piroscafi da carico al servizio della Regia Marina britannica. Arrivano altrettante medaglie d’argento, commutate poi in un’unica medaglia d’oro al valor militare. Senza uccidere nessuno, senza sparare mai un colpo contro altri italiani. Neanche dopo l’8 settembre di quello stesso tragico 1943, quando quelli come lui non se la sentono di cambiare in un amen la rotta del siluro. Ferraro deve smettere per forza di fare il finto bellimbusto, pensa di essere coerente schierandosi nelle file della Decima Flottiglia Mas. Lo spiegherà molto più tardi, a La Spezia, quando i capelli sono diventati tutti bianchi e le vendette solo brutti ricordi: «Diventa sempre difficile iniziare un qualcosa da una parte e poi finirla da un’altra, senza poterne bene capire il perché». Non è un modo di dire, lo riconoscono anche i combattenti della parte avversa. D’altronde Ferraro, d’accordo coi partigiani che dovevano essere i suoi nemici, salvò tanti uomini e importanti insediamenti industriali dalla rappresaglia nazista.
Smette la divisa che ha toccato appena - qualche volta lui diceva: «già» - i 31 anni. Ma non si sente affatto un reduce che si rassegna a vivere di reducismo. «Che diamine, questo mai, per uno come me che vive con i piedi per terra, ma si sente anche un po’ tanto simile ai pesci!». Così mette a frutto la passione e l’esperienza per progettare e costruire apparecchiature subacquee rivoluzionarie: la maschera Pinocchio, le pinne Rondine sono sue idee, cominciano a indossarle in tutto il mondo. E cominciano tutti a chiamare lui «il professore» per via dei corsi di istruzione che tiene, fin dai tempi della prima Scuola sommozzatori civili per enti di Stato, vigili del fuoco, carabinieri, Guardia di finanza, Genio militare. Un’attività incessante, che prosegue con la Scuola sportiva subacquea nazionale. Si realizza come imprenditore, fondando e guidando per anni la Technisub, che produce materiali utilizzati in tutto il mondo. E trova anche il tempo di seguire i vari tentativi, riusciti, di record di immersione in apnea di Enzo Maiorca, e di promuovere la posa in mare, nella baia di San Fruttuoso di Camogli, della statua del Cristo degli Abissi, protettore di tutti gli uomini di mare.
Dopo aver compiuto per la quarta volta vent’anni, torna a far parlare di sé quando mette in fuga un ladruncolo che aveva tentato di rubargli il portafoglio: che sia l’energia mai sopita, o il fulmine lanciato dagli occhi, che sia quel che si vuole, ma il ladruncolo scappa a gambe levate, mentre Ferraro se la ride.

È lo stesso sorriso con cui salutava l’allegra compagnia di Alessandretta, o le navi che mandava a picco, o i suoi allievi «che si agitavano troppo». Quel sorriso che si è spento ieri, mentre «Gigi» ripassava in un lampo tutte le altezze dei suoi abissi preferiti.

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