Le bugie sui genitori, il flop sui migranti e i silenzi su Biden. I dubbi su Harris

Da vice 4 anni grigi, nessun successo. Le qualità: essere donna e di colore

Le bugie sui genitori, il flop sui migranti e i silenzi su Biden. I dubbi su Harris
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Quando, quattro anni fa, Joe Biden e i suoi scelsero Kamala Harris come vice presidente non lo fecero certo perché era brava. Nelle primarie del 2020 l'ex procuratrice californiana si era dimostrata tanto arrogante e antipatica quanto confusa e presuntuosa. Ma soprattutto non era riuscita a conquistarsi un solo delegato. Nell'ottica dem aveva però altre qualità. Prime fra tutte l'essere donna e avere la pelle scura. Due doni di natura che nella visione politicamente corretta della sinistra Usa rappresentavano una sorta di beatificazione politica. Anche perché grazie a quei doni Kamala compensava l'indelebile peccato originale del vecchio Joe ovvero la pelle bianca, il credo cattolico e una carriera politica iniziata mezzo secolo prima. Se poi ci aggiungiamo l'infondata presunzione di esser nata e cresciuta in povertà il quadretto era perfetto.

Non che la Harris non ci abbia provato. Ma la pretesa è miseramente caduta quando si è scoperto che - oltre a essere figlia di una ricercatrice universitaria indiana e di un famoso economista afro-giamaicano - era anche cresciuta in uno dei migliori quartieri di San Francisco. Ma poco importa. Le origini agiate sono un marchio di fabbrica per gran parte delle élite dem e liberal. Quanto a bugie sarà invece ben più imbarazzante spiegare come l'ex procuratrice generale della California, inevitabilmente attenta alle questioni legali, abbia scelto di non dire mezza parola sul progressivo degrado psico-fisico che ha trasformato il suo capo in un presidente di facciata. Una piaga su cui Donald Trump e i suoi sostenitori sono già pronti ad infilare il dito.

Ma l'omertà con cui ha coperto le confusioni senili del vecchio Joe non è l'unica cicatrice che Kamala dovrà coprire se i democratici confermeranno la sua candidatura. La più evidente agli occhi di tutti gli americani è il disastroso bilancio sul fronte dell'immigrazione. La questione rappresentava l'unica vera delega politica ricevuta da Biden. Ma su quel fronte la vice presidente ha dimostrato da subito la sua totale impreparazione. Incaricata dal presidente di risolvere il problema «alla radice» intervenendo con politiche di sviluppo sulle cause sociali che spingono gli abitanti dei paesi centro-americani a cercar fortuna negli Stati Uniti Kamala sprofondò nel ridicolo sciorinando un discorso che sembrava uscito dalla bocca di the Donald. «A voi migranti - sbottò la vicepresidente in trasferta in Guatemala - dico di non venire negli Stati Uniti, perché sarete rimandati indietro». Ma il ridicolo è poca cosa rispetto al rapporto spesa-risultati.

Dal 2021 in poi, ricordava a febbraio il Washington Post, gli attraversamenti illegali del confine superano regolarmente i due milioni annui. Cifre mai registrate prima nonostante il miliardo annuo all'anno tra aiuti e investimenti a fondo perduto devoluti a Honduras, Guatemala e San Salvador.

Ma nell'immaginario collettivo degli americani Kamala Harris non è solo la responsabile della fallimentari politiche migratorie. L'ex procuratrice è anche una delle più conosciute esponenti di quell'ala radical dei democratici che in California ha fatto sfaceli. Sfaceli di cui l'immagine più iconica è la città di San Francisco trasformata dalle politiche di tolleranza dem in un accampamento di disperati e senza tetto.

Un'immagine che per molti americani rappresenta il futuro dell'America nel disgraziato caso Kamala venisse non solo candidata, ma anche eletta. Ed infatti molti big del partito democratico, primi fra tutti l'ex presidente Barack Obama si sono ben guardati, fin qui, dal regalarle la loro preziosa investitura.

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