L'abbaglio del Sole24ore E la bufala "domenicale" del dipinto di Caravaggio

L’inserto culturale del Sole 24 Ore spara uno scoop in copertina: ritrovato in Spagna un dipinto del Merisi. Ma l’attribuzione è più che azzardata: un’opera troppo moscia e priva di energia per esser di mano del maestro

L'abbaglio del Sole24ore 
E la bufala "domenicale" 
del dipinto di Caravaggio

Ho sempre letto con soddisfazione e com­piacimento l’inserto domenicale del Sole 24 Ore , riconoscendo l’interesse e la buona «cucina» delle pagine culturali del quotidia­no politico, economi­co, finanziario soprat­tutto nei lunghi anni in cui il Corriere ebbe la pagina dell’arte se­questrata da un sedi­cente poeta come Se­bastiano Grasso che ne aveva fatto una ri­serva di favori e dispet­ti tanto da mortificarla in una dimensione provinciale e senza al­cun respiro culturale. E forse proprio la mise­ria dell’inserto­del Cor­riere contribuiva ad ac­crescere il prestigio del domenicale del So­le 24 Ore .

Devo dire che non ha giovato a queste belle e ric­che pagine la riduzione di forma­to e mi compiaccio di aver sapu­to dall’amico Alfonso Dell’Era­rio e rivedere oggi confermato da Armando Massarenti che la veste tornerà al suo primitivo for­mato. E possiamo sperare che il ritor­no­agli antichi fasti faccia dimen­ticare alcune improvvide spinte in avanti che sembrano piutto­sto co­nvenire a un bollettino del­la pro loco che a un giornale auto­revole. Avevo già letto con stupo­re le uterine insensatezze di Pia Cappelli sul padiglione Italia del­la Biennale di Venezia, rintuzza­te ieri in un sereno e lusinghiero articolo del grande Gillo Dorfles sul Corriere che ha il pregio di re­stituire parola a un critico saggio ed esperto, mortificando i pappa­taci alla Grasso. Ma sono sobbal­zato quando, sulla prima pagina del Sole 24Ore in un richiamo in alto, con l’ulteriore sottolineatu­ra della rivelazione nell’edicola notturna del Tg5, ho letto di un nuovo Caravaggio, scoperto in Spagna. Mi sono compiaciuto della bella notizia finché non ho visto l’immagine pubblicata a tutta pagina sulla copertina del­­l’inserto, fortunatamente, in que­sto caso, dimidiato; ma abba­stanza leggibile per capire che, nonostante il generoso entusia­smo di Silvia Danesi Squarzina, si trattava di una «bufala».

Dispiace per l’interesse e la suggestione dei riferimenti ester­ni, che sembrano confortare una tanto importante e audace attri­buzione ma, come sa bene Silvia Danesi Squarzina, il primo docu­mento sono le opere, e la storia dei dipinti è piena di sorprese che non corrispondono ai riscon­tri pur seducenti. E il più convin­to sostenitore del primato delle opere sui documenti è proprio il massimo studioso di Caravag­gio: Roberto Longhi, che avreb­be sorriso osservando l’impieto­sa immagine del «nuovo Cara­vaggio ». Dall’ambientazione in una biblioteca al cappello cardi­nalizio, al volto pateticamente inespressivo, tutto nel dipinto parla di un pittore molto diverso da Caravaggio e operoso alcuni decenni dopo. Anche l’aspetto più notevole, cioè quello del li­bro di piatto sullo scrittoio, richia­ma piuttosto il gusto di Bartolo­meo Cavarozzi o di Pietro Paoli­ni, titolari di una anche leziosa maniera caravaggesca. Ma è difficile pensare che un’opera così moscia e priva di energia possa essere riferita a Ca­ravaggio soltant­o perché si stabi­lisce un riscontro fra la descrizio­ne degli inventari di Vincenzo Giustiniani del 1638: «Un qua­dro di una mezza figura di S. Ago­stino dipinto in tela alta palmi 5 e mezzo e largo 4 e mezzo incirca, di mano di Michelangelo da Ca­ravaggio con sua cornice negra », con una scritta dietro il quadro in cui il nuovo proprietario ricor­da la «procedencia (provenien­za) del Marqués Recanelli en la calle del Gobierno», l’attuale via della Dogana vecchia dove è Pa­lazzo Giustiniani.

Si tratta, ap­punto, di suggestive coinciden­ze e il riferimento di un S. Agosti­no a Caravaggio non esclude che nella collezione Giustiniani vi fosse un S. Agostino di altro auto­re. Inutile osservare che anche le dimensioni non corrispondono alla descrizione del 1638: è suffi­ciente accostare il volto inespres­sivo del santo in lettura con altre analoghe teste certamente di Ca­ravaggio come quella di S. Mat­t­eo che impara a leggere coll’assi­stenza dell’angelo nel dipinto perduto a Berlino, che era la pri­ma versione della pala d’altare della cappella Contarelli in S. Lui­gi dei Francesi, opera che, ad as­secondare gli argomenti della Danesi, è dello stesso momento del sant’Agostino; o la nobile ed espressiva testa del S. Giuseppe nella Fuga in Egitto della galleria Doria Pamphilj, per non scende­re agli intensi S. Gerolamo della galleria Borghese o di Montser­rat.

Dramma e tormento anche nella meditazione, nella concen­trazione, nella ispirazione devo­ta, rispetto alla generica espres­sione del S. Agostino che compi­ta la sua lettura con dita legnose da manichino, senza tensione, senza vita, come protesi. Ora, è perfettamente legittimo che una studiosa esponga i pro­pri argomenti e li proponga alla comunità degli studiosi come si è sempre fatto, ottenendo con­sensi, dissensi, pareri concordi e pareri discordi. Una volta rag­giunta una condizione condivi­sa l’opera, anche senza docu­menti che la sostengano, può en­t­rare nel corpus di un grande pit­tore, talvolta ne può uscire, co­m’è accaduto al Narciso della Galleria nazionale di Roma. Ma il presente S. Agostino non è de­stinato a entrarvi.

E se mai lo fos­se non potrebbe essere con la spinta in avanti di un quotidiano pur autorevole. Così, per la se­conda volta dopo l’incredibile sortita della copertina del­l’ Espresso che, ignorando la mor­te di Bin Laden, volle mostrare al mondo un nuovo Raffaello di mi­­steriosa collezione privata per scalzare quello di Palazzo Pitti (la Visione di Ezechiele che resta l’originale) un giornale assume la responsabilità di comunicare, senza riserve, una scoperta tra­dendo i principi della corretta in­formazione in nome di un facile sensazionalismo. E non dico che non debba esse­re di quotidiani e settimanali l’opera di divulgazione;ma,pro­prio per questo, sia nel caso del­l’ Espresso sia nel caso del Sole 24Ore , nulla è più facile che la prova del riscontro con esperti e conoscitori di due pittori come Raffaello e Caravaggio, che avrebbero potuto essere interpel­lati per esprimere un parere e consentire di valutare l’interes­sante proposta con il giusto mar­gine di dubbio ma non come un’assoluta certezza. È su que­sto che dovrebbe, in attesa del grande formato, interrogarsi Ar­mando Massarenti e con lui il di­rettore Roberto Napoletano, non per assecondare i capricci della critica e le diverse nostre va­nità, ma per non esporsi a magre figure. Io non ho alcuna ragione per non partecipare all’entusia­smo di una nuova scoperta, ma sono assolutamente convinto della estraneità del nuovo dipin­to dalla mano di Caravaggio.

E così sul Giornale si apre il dibatti­to e, senza che l’amica Sqarzina si offenda, potranno essere chia­mati a esprimere la loro opinio­ne studiosi autorevoli come Mi­na Gregori, Maurizio Calvesi, Maurizio Marini, John Spike, Fer­dinando Bologna, Nicola Spino­sa, Rossella Vodrett, e i non po­chi altri che in questi decenni si sono esercitati su Caravaggio.

Credo che gli amici del Sole avranno qualche sorpresa. E quella che era loro apparsa una rivelazione si rivelerà una inte­ressante suggestione da appro­fondire, come si dice di tante pi­ste che non portano alla meta ma si arrestano in un vicolo cie­co.

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