L'anima non basta. La resurrezione della carne ci farà abbracciare

Nell'aldilà, speriamo di accarezzare di nuovo i nostri genitori e chi amiamo

L'anima non basta. La resurrezione della carne ci farà abbracciare

Cercherò di rispondere, non da specialista, non da filosofo o teologo, ma solo da scrittore, ossia da uomo, e uomo del 2025, alla terribile domanda che Alessandro Gnocchi mi pone in occasione di questa Pasqua.

La posso riassumere (parafrasando Dostoevskij) in questo modo: come può un essere umano del nostro tempo, una persona moderna, dall'intelligenza media o anche superiore alla media, una persona che conosce le leggi del mercato, l'intelligenza artificiale, il cinismo del mondo del lavoro, la precarietà degli affetti, il pelo sullo stomaco talvolta necessario per tenersi a galla, e riserva alle ore private i sentimenti migliori (sempre che gliene siano rimasti) - ebbene: come può una persona così, ossia tutti noi, entrare la domenica in una chiesa, assistere alla messa, e al momento del Credo dire, con persuasione, di credere nella Resurrezione della Carne?

Mi viene in mente un mosaico molto antico, sull'isola di Torcello, dove l'atto della resurrezione viene presentato senza filtri teologici. Morti che scoperchiano le tombe, pesci che vomitano le loro prede umane già digerite e defecate ben oltre i tre giorni di Giona, persone intatte e in perfetta salute che escono, tutte allegre, dalla bocca dei leoni, e così via: un vero godimento per gli occhi.

L'innocenza di questi artisti sconosciuti rende vivo un paradosso quasi incomprensibile. Giovanni Testori, mio maestro e uomo di fede, scriveva giustamente che i pittori hanno dipinto molte meravigliose Madonne, Natività, Crocefissioni, Visitazioni, Deposizioni, e pochissime - e spesso non molto riuscite - Resurrezioni. La ragione è semplice: per dipingere una Resurrezione l'artista non può far ricorso ad alcuna esperienza personale, deve farsi teologo, la sua arte diventa ipotetica, meno impastata di umanità, di dolore, di vita. A meno di recuperare l'ingenuità di quegli antichi mosaicisti, o la perentorietà di artisti che si sono volutamente posti ai punti estremi dell'esperienza umana, come l'inarrivabile Piero della Francesca o la grande scrittrice americana Flannery O'Connor, certi che solo quel limite estremo possa dar ragione di tutta l'esperienza umana - inclusa quella che ignoriamo o di cui non ci accorgiamo.

Ungaretti scrisse nel 1916 una brevissima poesia intitolata Dannazione: «Chiuso fra cose mortali/ (anche il cielo stellato finirà)/ perché bramo Dio?». In queste scarse parole si condensa ciò che sto cercando di dire. Nei tre versi della poesia, Ungaretti elenca tre dati innegabili. Il primo è che tutto ciò che ci circonda, compresi noi stessi, è mortale. Anche il Colosseo, la Gioconda, le cascate del Niagara, l'Everest finiranno. Non solo: anche il cielo stellato finirà, nel senso che non assisterà indifferente alla consumazione del mondo, ma si consumerà anch'esso, il suo movimento si esaurirà, perché il Big Bang da cui è nato lo ha immesso nel Tempo, che è entropia, perdita.

Ma c'è anche il terzo versetto, in cui il poeta enuncia un terzo dato innegabile, e lo fa senza tacere un certo scandalo: se così è, perché desideriamo cose immortali incorruttibili?, perché ci figuriamo scenari estranei al ricatto del Tempo?, perché consideriamo il valore di una grande azione (un gesto di eroismo, di bontà, di generosità) superiore alle circostanze (mortali) in cui si è verificata e, spesso, alle stesse persone che lo hanno compiuta? Perché, in altre parole, c'è in me qualcosa che oltrepassa la terra e il cielo stellato? Un fiore appassirà, ma non la sua bellezza. Anche questo è un dato.

Voglio dire che nella nostra esperienza di uomini e donne moderne noi tendiamo (è il pensiero del mondo) a considerare reali non tutte le cose reali, ma solo alcune. È vero ed è reale che tutto finirà, pensiamo, questo è un dato: ma la brama di Dio è solo un sentimento, un pensiero, forse un'illusione, è vera (almeno per qualcuno) ma non reale.

Vera, ma non reale.

Piero della Francesca (che oltre che pittore era anche matematico e filosofo) nella sua celeberrima Resurrezione presenta un Cristo duro, rurale: per illustrare il più inafferrabile dei misteri sceglie il massimo della concretezza: il Risorto, al centro di una composizione di estrema complessità e astrattezza, appare tuttavia come una specie di contadino toscano, e regge il vessillo della vittoria come fosse una falce, perché la vittoria definitiva sulla morte annuncia la definitiva, gioiosa mietitura.

Il Risorto appare, insomma, più reale (non solo «più vero») delle figure che lo accompagnano, e appartengono ancora a questa vita. Il cristianesimo è una religione carnale, i Sacramenti non sono simboli, poiché in essi Cristo abita corporalmente. Per un cristiano, insomma, la vita è un cammino verso l'incontro fisico, reale, con l'uomo Gesù Cristo: e questo incontro - come dice Flannery O'Connor (di cui ricorre quest'anno il centenario della nascita) - non è programmabile, avviene non come vogliamo noi, ma come vuole Lui.

Questo è il Cristianesimo. Può apparire visionario, paradossale, forse folle, ma la sua origine è razionale: è quel terzo dato della poesia di Ungaretti, quella domanda ansiosa che non è meno reale del tavolo che mi trovo davanti, alla quale posso rispondere mille volte senza mai potermi mettere il cuore in pace: perché bramo Dio, qui, ora, sempre? Perché lo bramo anche quando lo servo, lo prego, o lo bestemmio?

A un cristiano non interessa l'anima senza corpo, una spiritualità senza carezza. La parola senza bacio, scrive Clemente Rebora, lascia più sole le labbra. Mio padre è forse in Paradiso? Mi piacerebbe saperlo, ma molto di più mi piacerebbe sapere se potrò rivederlo, e se rivedendolo potrò rallegrarmi e gridare papà! come quando ero bambino; e se potremo bere un bicchiere di vino insieme. L'annuncio cristiano dice che il Verbo (ossia Dio) si fece carne, e venne ad abitare tra noi: una cosa dell'altro mondo in questo mondo (Giussani).

Ma, se così è - e così è, tale è la fede cristiana - allora è ragionevole credere che, nell'altro mondo, troveremo carnalmente, tangibilmente, tutto quello che, a dispetto di tanti orrori, continua a farci amare questa nostra povera vita.

Perché l'immortalità dell'anima, da sola, non ci consola.

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