Si sentono i padroni di quella Milano parallela e giovanissima che parla spagnolo, vive in periferia e si raduna al calar della sera, divisa tra faide interne per la gestione del territorio e banali questioni di lesa maestà. È un mondo sanguinario e a tinte fosche quella delle bande di giovani latinos che si sono spartite la città, fregandosene della legge e seguendo personalissimi codici d’onore votati alla vendetta, che escludono il perdono ma non disdegnano il machete e l’omertà. Ne è uno specchio l’operazione del commissariato Mecenate i cui investigatori - coordinati dal tribunale ordinario e da quello dei minori - ieri mattina hanno eseguito 26 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 16 ecuadoriani, 6 peruviani, 3 salvadoregni e un argentino. Tutti ragazzi tra i 16 e i 28 anni (due le donne), accusati a vario titolo di 5 tentati omicidi e 6 rapine messi a segno tra settembre 2011 e lo scorso gennaio.
Le bande (pandillas in spagnolo) a cui appartengono questi ragazzi dagli sguardi duri e beffardi da guappi d’oltreoceano, sono quelle che da qualche anno sentiamo nominare a più riprese, ma hanno subito evoluzioni. Ci sono i Latin King Luzbel che «regnano» tra viale Monza e Precotto, ma anche a Pagano e in corso Lodi; i Trebol, che hanno un simbolo a forma di trifoglio e sono alleati degli Ms13 (sigla che sta per Mara Salvatrucha), attivi tra Romolo, Corsico e piazzale Maciachini, quelli dell’Associasion Neta insediatisi tra il parco di Largo Marinai d’Italia e tutta la zona di corso XXII marzo. Poi ci sono i nuovissimi Bloodz che se ne stanno tra il Parco Lambro e San Siro e riuniscono ragazzi extracomunitari del Maghreb, dei paesi dell’Est ma anche italiani disadattati.
L’ordinanza del gip Fabrizio D’Arcangelo parla di aggressioni violentissime - a colpi di calci, pugni, cinturate, coltelli, cocci di bottiglie e pietre, ma sempre più spesso anche di machete e mannaie - sugli autobus o per strada «per motivi futili e abbietti» come il giudice definisce le rivalità tra pandillas. Tra le pagine spicca spesso il nome di Carlos Manuel Reano Laynes, meglio conosciuto come Yankee, uno dei capi dei Latin King Luzbel, 19enne nato a Milano ma di origine ecuadoriana che agisce in combutta con The Simpul, soprannome di Aldair Joshua C. R., peruviano, classe 1996. Entrambi sono accusati del tentato omicidio di Yandel, soprannome del sedicenne capo dei Trebol. Che, cinque giorni dopo il pestaggio del loro leader, il 30 settembre, alleati con gli Ms 13 organizzano una violenta ritorsione e in 15 aggrediscono Simpul con coltelli, cocci di bottiglia, machete e mannaie alla stazione del metrò di Cimiano. La vicenda, denunciata alla polizia dalla madre di Simpul che ha riconosciuto gli assalitori del figlio sugli album fotografici della polizia (immagini ricavate dai fotogrammi delle telecamere della stazione del metrò, ndr) ha avuto un certo effetto sul ragazzo. «Ferito alla nuca, al polso e alla schiena da più coltellate, mio figlio è tornato in Perù perché da allora teme per la sua incolumità» ha spiegato la donna.
Simpul, però, prima di scappare in Sud America per la paura, viene sentito dalla polizia che lo descrive come «reticente e poco collaborativo». «Disse che il motivo dell’aggressione - spiega ancora l’ordinanza - non aveva nulla a che fare con la spartizione del territorio tra bande, ma che piuttosto era da attribuirsi al risentimento della sua fidanzata minorenne e del fratello di lei per i suoi tradimenti con altre ragazze». Una menzogna bella e buona, insomma, per coprire ben altri moventi - seppur sempre privi di un reale valore - di gestione del territorio tra bande.
Insomma: per giudici e investigatori è solo un miracolo o un caso se, nelle aggressioni sanguinarie in cui sono rimasti coinvolti questi ragazzi sudamericani, non c’è scappato il morto. Le bande, però, non hanno ancora intenzione di fermarsi. Anzi: fanno sempre più paura.
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