L'azienda che vale il doppio del Belgio

Il colosso dell'e-commerce è tra i vincenti della pandemia: durante la quarantena ha visto crescere vendite e quotazioni di Borsa. Ma anche le voci di chi teme che il suo potere sia ormai eccessivo

L'azienda che vale il doppio del Belgio

Altro che crisi da pandemia. Anche in tempi di coronavirus ci sono grandi storie di successo e una delle più clamorose è quella del colosso Amazon: da gennaio a oggi il titolo ha guadagnato in Borsa il 30% e oggi la società è arrivata a valere 1.200 miliardi di dollari. Più che con altre aziende (solo pochissimi colossi dell'hi-tech reggono il passo) si può fare un confronto con intere nazioni. Amazon «pesa» oggi due volte il prodotto interno lordo del Belgio. O più della metà della ricchezza prodotta ogni anno da 60 milioni di italiani, pari, secondo le statistiche, a 2.100 miliardi di dollari.

Jeff Bezos, fondatore e principale azionista, è l'uomo più ricco del mondo e da quando il virus ha colpito pesantemente gli Stati Uniti, verso la fine di marzo, ha visto crescere il suo patrimonio personale di un'altra trentina di miliardi, sfiorando un totale di 150. Si è perfino potuto permettere senza battere ciglio un divorzio che di miliardi ne è costati una quarantina, versati sotto forma di azioni alla ex moglie.

Il fatto è che la gente, chiusa in casa, ha comprato a più non posso via pc e telefonino. I magazzini della società (500 solo negli Usa) hanno lavorato a pieno regime e per fare fronte alla piena di ordini, in poche settimane sono state assunte altre 175mila persone. Non tutto è filato liscio: la catena logistica è stata messa a dura prova, la proverbiale puntualità delle consegne è spesso venuta meno ed ha suscitato polemiche perfino sui giornali il fatto che alcuni magazzini della società abbiano esaurito per giorni le scorte di carta igienica facendo imbufalire i fiduciosi clienti. Per affrontare la situazione lo stesso Bezos è dovuto tornare personalmente sulla plancia di comando. Altri operatori dell'online sono riusciti in questo periodo a crescere di più, ma Amazon, con la sua potenza di fuoco, è in grado di approfittare al meglio delle nuove abitudini d'acquisto accelerate dalla pandemia.

FIENO IN CASCINA

Da tempo la società incamera sostanziosi utili: 24 miliardi di dollari solo negli ultimi tre anni. Ma di questi soldi gli azionisti non hanno mai visto un centesimo, perché nella sua storia Amazon non ha mai pagato un dividendo. Tutto reinvestito per far crescere il gruppo e per conquistare quote di mercato. Eppure il titolo, nonostante la tirchieria coi soci e come dimostrano gli ultimi rialzi, resta tra i più apprezzati. «La spiegazione è molto semplice», spiega Martin Angioni, che oggi lavora come consulente aziendale. «Gli investitori scommettono sul futuro, sul fatto che Amazon potrà domani tradurre l'enorme quota di mercato ammassata nel frattempo in utili sopra la media».

Angioni ha appena scritto un libro, «Amazon dietro le quinte», pubblicato da Raffaello Cortina, che nasce dalla sua storia personale: ex finanziere in una banca d'affari, ex amministratore delegato di Electa Mondadori, ha diretto per più di quattro anni la filiale italiana del colosso dell'online, dai giorni della nascita fino alla soglia del primo miliardo di fatturato.

Il ritratto di una delle società protagoniste della nuova economia digitale che emerge dal volume è unico e singolare: dalla cultura tutta orientata al cliente fino ai travolgenti ritmi di lavoro, con verifiche quasi quotidiane dei risultati raggiunti e orari settimanali che finiscono il sabato a mezzanotte. «Per raccontare come vedo oggi Amazon faccio il paragone con le fortificazioni di un tempo, che controllavano vallate, vie di comunicazione e commerci» racconta Angioni. «Amazon e i suoi parenti come Google o Facebook, sono i castelli dell'era del web: sono imbuti virtuali attraverso cui passano obbligatoriamente le scelte di miliardi di consumatori. Sono fortezze che non controllano più eserciti ma occhi e attenzione, carte di credito, identità digitali».

Nati dall'innovazione dell'era digitale e come piccole start-up imprenditoriali la società di Seattle e compagni si sono trasformati in presenze ingombranti che dettano legge nei rispettivi campi di azione. Fino, dicono gli osservatori più allarmati, a soffocare l'innovazione stessa, l'emergere di nuovi concorrenti e a giustificare le preoccupazioni legate alla nascita di nuovi monopoli. Il distacco tra di loro e i concorrenti è ormai abissale: nelle vendite online negli Stati Uniti, dice Angioni, Amazon è ormai il doppio dei primi nove competitor.

REGOLE DIVERSE

La presenza di un monopolista ha tradizionalmente come effetto l'aumento dei prezzi, il cui sovrappiù viene incamerato dal dominatore di mercato. In questo caso però non accade. «Ci sono due tipi di aziende, quelle che si impegnano per far pagare di più, e quelle che lavorano per far pagare di meno. Noi saremo nel secondo campo», diceva Bezos in un articolo intervista pubblicato dal New York Times quasi 20 anni fa. Un paladino dei consumatori? Chi ne dubita si richiama al concetto di predatory pricing, accusando l'azienda con sede a Seattle di utilizzare strategie predatorie di prezzo, che si propongono di mettere fuori mercato la concorrenza per poterne approfittare in un secondo tempo. È il cosiddetto recoupment, il recupero dalle perdite iniziali ottenuto alzando i prezzi una volta eliminata la concorrenza (è questa, come detto, l'opinione degli investitori che con i loro acquisti tengono alto il valore del titolo). In senso stretto non è nemmeno detto che per recuperare extraprofitti sia necessario agire sui prezzi: «possono essere recuperati grazie alle commissioni, pari al 15%, una bella cifra, dei commercianti che vogliono utilizzare la piattaforma di Amazon», dice Angioni.

Il problema si può esprimere in termini ancora più elementari: la comodità di comprare un libro con la semplicità e l'efficienza garantita da Bezos e colleghi, ha conquistato i consumatori, anche italiani. In difficoltà però sono finite le librerie, e la morìa si è via via accelerata con il tempo. Ma una volta fatta tabula rasa di negozi fisici, chi garantirà il consumatore dall'arbitrio di Amazon? E, per introdurre un argomento extra-economico, come si potrà rimediare alla perdita di luoghi di cultura (e di socialità) rappresentati da librerie e negozi?

A sollevare scientificamente il tema nel 2017 fu Lina Khan, allora semplice studentessa a Yale, che in un articolo pubblicato sullo Yale Law Journal, «Il paradosso Antitrust di Amazon», scatenò un dibattito internazionale e mise sotto accusa una politica anti-monopoli che giustificava l'intervento delle autorità solo in caso di aumento dei prezzi per il consumatore. Da allora la questione è rimasta nell'aria.

Angioni, da parte sua, sottolinea le criticità della posizione di Amazon: «È al contempo venditore al dettaglio e gestore della principale piattaforma di vendita al dettaglio online. Ed è per di più produttore con decine di marchi privati in quasi tutte le categorie di prodotto. È dunque in competizione diretta con le aziende che gestisce sulla propria piattaforma». Solo che i concorrenti che vendono su Amazon, «nuotano con uno squalo», dice Angioni. «Alla fine vince sempre lui». Perché lo «squalo»-Amazon ha in mano tutte le leve del business: il controllo dei dati e delle procedure, la possibilità di utilizzarli per gestire la propria attività di commercio al dettaglio o i propri marchi privati nel confronto con i concorrenti.

FOCUS E DISCIPLINA

L'argomento, insomma, è delicato e negli ultimi anni la società di Seattle ha dovuto fare i conti più di una volta con le osservazioni delle Autorità antitrust a cominciare da quella europea. Così come ha dovuto affrontare più volte la questione delle tasse (vedi anche l'articolo in basso, ndr): in maniera del tutto simile a gran parte delle multinazionali, rimbalzando da una legislazione all'altra, Amazon riesce a ridurre al minimo il prelievo fiscale.

È uno degli elementi del suo successo. Il cui segreto, però, secondo Angioni, sta nella capacità di focalizzare la sua attività intorno all'innovazione, con una «immensa disciplina e capacità di semplificare, pianificare, anticipare». «Quando siamo nati perfino la moquette dell'ufficio di Milano era identica a quella di Seattle. È la dimostrazione di una spasmodica attenzione al dettaglio» dice oggi l'ex numero uno. Si spiega così una corsa mai vista nella storia: dai 30mila dipendenti del 2010 agli oltre 800mila di fine 2019. «Una crescita aggregata costante e vicina al 30% annuo, che vuol dire quasi raddoppiare il fatturato ogni tre anni», conclude Angioni. C'è da chiedersi se il fondatore Bezos riuscirà ad avere lo stesso successo con la sua ultima creatura, che è anche la sua nuova passione: Blue Origin, che si propone di rendere popolare il turismo spaziale.

Nel discorso che fece alla consegna del diploma liceale Bezos disse che voleva creare in orbita hotel colonie e parchi-divertimenti per almeno due o tre milioni di persone. Sembra fantascienza, ma non è detta l'ultima parola.

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