La Lega mastica amaro. E la base s’infuria

La sconfitta nella trattativa, che Bossi aveva disertato, avvicina la resa dei conti interna. Calderoli prova a mediare tra maroniani e bossiani e tenta l'accelerata sul federalismo

La Lega mastica amaro. E la base s’infuria

Roma - Nel giorno del «sì» del Senato alla manovra pluririmaneggiata, la Lega non se la gode, impantanata in un clima tetro da day after. Martedì il Carroccio ha fatto indigestione di rospi, su contributo di solidarietà, Iva e soprattutto pensioni: questo è lo schiaffo più violento, anche se spostato al 2014. Senza avere buone notizie nemmeno su province ed enti locali, tema assai caro a quello che si configura sempre più chiaramente come il «partito dei sindaci». E poi c’è quella scelta del governo di aver posto la fiducia sul provvedimento, da molti interpretato - al contrario - come sfiducia nei confronti del Carroccio, cornuto e mazziato. Decisioni che Umberto Bossi, non potendo bocciare, almeno ha evitato di obliterare di persona partecipando al vertice di maggioranza di martedì. La patata bollente è toccata a Roberto Calderoli e ai due «cerchisti» Rosy Mauro e Federico Bricolo. Ieri tutti a invocare la ragion di Stato: troppo stringenti la crisi, i moniti di Napolitano, l’ombra della Bce. Tiepido argine alle accuse dei militanti che rimproverano i colonnelli di essersi svenduti.
Il clima non è buono. Sul web e su Radio Padania la protesta è stata forte, anche se non ha raggiunto l’acme del 30 agosto, un altro martedì in cui si scatenò la rabbia contro la decisione di sbianchettare dalla carriera previdenziale università e naja. Ma l’impressione è che questo estremo sforzo da parte del Carroccio per venire incontro al governo, definito «l’ultimo», potrebbe non essere tale. La base teme un ulteriore cedimento nel caso in cui tra qualche mese si torni a parlare di metter mano alle pensioni.
No, decisamente il clima non è buono. La Padania, espressione della pancia leghista, ieri ha smesso la casacca verde indossando una grisaglia ministeriale: «Crisi, il governo accelera», il titolo che dissimula il disagio. E il passo indietro sulle pensioni scompare dalla prima pagina, insolitamente «ufficiale». E se più di una fonte interna alla Lega fa capire che il via libera alla manovra sarebbe giunto in cambio di rassicurazioni circa una prossima accelerazione sul federalismo fiscale, è comunque difficile far passare per una vittoria politica, o almeno per un pari-e-patta, questo incerto baratto.
Come sempre tutto ruota attorno a Umberto Bossi, leader con problemi di salute che però diventano motivo di impedimento solo in certi momenti. Quando lui abbandona il proscenio, i cani sciolti si annusano: da un lato Roberto Maroni e i suoi, che pur avendo ingerito la loro porzione di rospi, hanno evitato di metterci la faccia almeno nello sprint; dall’altro quelli del cerchio magico, che invece hanno gestito la fase finale delle trattative sulla manovra e perdono ancora terreno.

In mezzo Roberto Calderoli, che ormai fa più asse con Tremonti che con il resto del partito. Atteso nelle prossime settimane da alcuni appuntamenti interni fatidici, come i congressi provinciali di Varese e Brescia: l’occasione di misurare le forze all’interno di un partito diviso come non mai.

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