La legge degli arraffoni

Le vedove piangono - dopo che sono state ridotte del dieci per cento le pensioni di reversibilità nel pubblico impiego - ma le toghe sono in festa. E fossero solo le toghe. Sulla loro scia una poderosa armata politica - degna d’essere onorata con la qualifica di Invitta che già spettò alla terza armata del Duca d’Aosta nella Grande Guerra - può stappare lo champagne. Come il medesimo, anche l’euro corre a fiumi nelle tasche dei privilegiati di questa Italia che è così in bolletta da dover lesinare modeste erogazioni ai poveracci, ma che è così ricca da poter miracolare alcune categorie con trattamenti economici senza pari, per generosità, in Europa e nel mondo.
Cerchiamo di capire cosa è successo. Nel 1965, per moralizzare l’entità dei compensi ai parlamentari, fu stabilito che i compensi stessi dovessero essere commisurati a quelli dei presidenti di sezione della Cassazione. L’arbitrio di Camera e Senato nell’autostipendiarsi pareva così stroncato. Si dà tuttavia il caso che la retribuzione dei magistrati sia anch’essa decisa dal Parlamento, e si dà il caso che ai magistrati siano toccate buste paga ben più alte di quelle dei burocrati in generale.
Non basta ancora. È poi avvenuto che le indennità dei consiglieri regionali - cresciuti nel frattempo di numero - fossero rapportate alle indennità dei parlamentari nazionali nella misura dell’ottanta per cento (con l’eccezione della Sicilia, sempre prima della classe nello sperpero, con oltre il cento per cento). È una sorta di catena di sant’Antonio: se do ai magistrati do anche ai parlamentari nazionali, se do ai parlamentari nazionali do anche ai consiglieri regionali. Tutto automatico, tutto perfettamente legale. Automatici sono anche gli aumenti triennali ai magistrati, con quel che segue. Un aumento è scattato adesso, in ritardo sul termine d’obbligo, e così lo sterminato esercito di cui sopra avrà ciò che è dovuto, con tanto di arretrati. Non parliamo di bazzecole. La paga del deputato e senatore - cito da Il costo della democrazia di Cesare Salvi e Massimo Villone, senatori ds - era fino agli ultimi ritocchi di 12mila 434 euro di indennità mensile, e 4003 euro di diaria (lasciamo da parte la ancora più scandalosa paga degli europarlamentari, e lasciamo stare i privilegi pensionistici di Montecitorio e di palazzo Madama, che rendono indecente e intollerabile ogni misura di rigore, in materia previdenziale, nei confronti della gente comune).
Esiste il problema, non più rinviabile, di un professionismo politico che è riuscito ad attribuirsi trattamenti economici del tutto indipendenti dalle qualità e dai meriti. Con tutta la buona volontà non si vede per quali straordinarie doti di civismo e d’ingegno i parlamentari italiani debbano guadagnare più di ogni loro collega, sia pure mediante il sotterfugio dell’equiparazione ai magistrati. Allo stesso modo, lo aggiungo per inciso, non si vede perché il laureato in legge che è riuscito ad entrare in magistratura anziché nella carriera dell’Interno, ottenga riconoscimenti di status e di retribuzione particolari: quasi che, come le poche centinaia di giudici inglesi, fosse stato scelto tra giuristi di chiara fama, di specchiata onestà, di lungo tirocinio, di collaudata saggezza.
È tutto, nella politica e nella burocrazia, un arraffa arraffa, i più svelti e furbi riescono a raggiungere la greppia. Il governo Prodi, che ha issato al suo debutto l’insegna della serietà, si è subito coperto di ridicolo con la sua turba di ministri, viceministri, sottosegretari, i vice colluttanti con i ministri nello stesso dicastero, alcuni ministri colluttanti con gli altri nel Consiglio. La riduzione dello stipendio a ministri e sottosegretari - solo se sono anche parlamentari - è stata solo un belato d’austerità minima e ininfluente nel ruggire degli appetiti che si scatenano nel potere centrale e nelle Regioni, in maggioranza amministrate queste ultime dal centrosinistra.

Vorremmo che di fronte a situazioni inaccettabili la politica e la burocrazia non invocassero i già citati automatismi: perché proprio la politica e la burocrazia ne hanno strutturato i congegni in tal modo da potersi rifugiare, all’occorrenza, nel rispetto della legge. È la legge che lo vuole. E anche chi l’ha fatta, trovando l’inganno.

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