Roma - Quasi tutti, a destra e a sinistra, vogliono evitare il referendum elettorale. Alla fine del tourbillon di incontri che i vertici di Forza Italia hanno tenuto con tutti i partiti del centrodestra, la posizione riferita a Vannino Chiti, il ministro per le Riforme, è abbastanza unitaria: l’attuale legge elettorale va modificata in Parlamento. Il capogruppo dei senatori di Rifondazione, Giovanni Russo Spena, ha dichiarato la sua soddisfazione: «Prendiamo atto che si intende procedere attraverso un limpido confronto parlamentare senza scomodare convenzioni, bicamerale o altre sedi improprie». Tra queste quella del referendum. Posizione nettamente condivisa dai leghisti che, malgrado incontri e rassicurazioni avute dallo stesso Silvio Berlusconi con una lettera sul quotidiano La Padania, non si sentono sufficientemente tranquilli. «O Forza Italia ci convince che vuole abbandonare ogni progetto di referendum oppure alle amministrative andremo da soli», dichiara Roberto Maroni dopo l’incontro avuto anche con An. Secondo il capogruppo dei deputati leghisti infatti gli alleati della Cdl non sono stati particolarmente espliciti su questo punto: «Abbiamo chiesto a Forza Italia di uscire dal comitato referendario e ci hanno detto di no», ha insistito Maroni. A cui ha risposto uno dei firmatari del referendum, Stefania Prestigiacomo: «Non credo che Maroni debba lanciare diktat su ciò che esponenti di Fi devono fare in politica», ha attaccato l’ex-ministro che è tra i firmatari del referendum «a titolo personale, come molti altri azzurri».
Del resto ieri mattina il quotidiano della Lega aveva riportato alcune dichiarazioni di Silvio Berlusconi che garantiva come non ci fosse alcuna «esplicita preferenza» per il referendum, strumento usato per fare uscire la sinistra allo scoperto su questa delicata materia. E nel pomeriggio fonti vicino al Cavaliere fanno trapelare altre sue affermazioni: «Con Umberto e il suo partito non ci sono dissidi, né alcun gelo o fibrillazione». Per il leader di Fi «il nostro punto fermo è migliorare la legge, e sino al 2008 quando cadrebbe il referendum, tempo per trovare un’intesa ce n’è abbastanza».
Alla fine degli incontri, mentre gli azzurri tengono a sottolineare che comunque «la legge elettorale non è una priorità», sul tavolo del ministro Chiti, che adesso deve incontrare la delegazione dell’Ulivo, sembrano essere rimaste due ipotesi fondamentali, che puntano entrambe a stoppare il referendum: la bozza D’Alimonte, che prevede il premio di maggioranza al Senato su scala nazionale, il voto ai 18enni anche al Senato, l’esclusione dei voti delle liste sotto la soglia dello sbarramento per l’assegnazione del premio di maggioranza. E che soprattutto cambia le modalità di assegnazione dei seggi, secondo la via spagnola (sulla quale sono d’accordo i liberal riformatori di Della Vedova) o quella tedesca. L’altra ipotesi sul tavolo di Chiti è la riforma sul modello regionale del «Tatarellum», che ipotizza l’elezione diretta del premier e la sfiducia costruttiva.
Il dialogo tanto voluto dal presidente Napolitano sembra quindi che stia funzionando, tanto che lo stesso Vannino Chiti ha ribadito che la «legge elettorale deve essere costruita insieme dal governo, dalla maggioranza e dall’opposizione». E Alfredo Biondi, presidente del Consiglio nazionale di Fi (ha partecipato a tutti gli incontri con Sandro Bondi, Fabrizio Cicchitto, Claudio Scajola, Renato Schifani, Giulio Tremonti ed Elio Vito) ha sottolineato che l’incontro con Chiti e la volontà di modificare la legge più che azzerarla «smentiscono quanto aveva dichiarato Piero Fassino che l’aveva definita «una legge barbara e incivile».
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